La penisola
italiana, al centro del Mediterraneo, è sede dello scontro tra la placca
tettonica africana e quella euroasiatica. Ciò determina vulcanismo attivo sul
margine tirrenico e diffusa sismicità lungo la catena appenninica in
corrispondenza della quale si trova il margine di subduzione, ovvero lo
sprofondamento della litosfera, prodotto proprio dallo scontro tra le due
placche. In questo contesto sismotettonico, la sismicità italiana è da mettere
in relazione allo spostamento verso N/NNO della microplacca adriatica (Adria),
porzione della placca africana: tale movimento induce i terremoti localizzati
lungo la catena appenninica. Questi eventi, generalmente prodotti da sorgenti
di dimensioni contenute, liberano l'energia sismica a sciami: storicamente
infatti sono diversi i casi in cui si sono sviluppate sequenze sismiche
caratterizzate da più eventi piuttosto che da un singolo episodio di energia
nettamente preponderante sugli altri. Gli episodi più eclatanti in questo senso
sono rappresentati dai terremoti del 1456, che interessarono gran parte
dell'Italia centrale, e del 1561 quando fu gravemente colpito il Vallo di
Diano.
di: Giampiero Petrucci(1) e Stefano Carlino(2)
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1) Geologo, ricercatore del
GeoResearch Center Italy – GeoBlog (sito internet: www.georcit.blogspot.com; mail: dottgipe@gmail.com).
2) Geofisico
dell’Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia e collaboratore del
GeoResearch Center Italy – GeoBlog;
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GeoResearch Center Italy - GeoBlog, 2 (2015), ISSN: 2240-7847.
Il
territorio italiano è localizzato nella zona di collisione tra la placca
africana ed euroasiatica. Lo scontro ed il movimento relativo tra le due
placche sono all’origine della dinamica geologica della penisola, che si
caratterizza per la presenza di vulcanismo attivo sul margine tirrenico e per
la diffusa sismicità lungo la catena appenninica. La collisione tra le due
placche litosferiche, iniziata circa 70 milioni di anni fa, ha generato lo
sprofondamento di parte della litosfera in profondità (subduzione) mentre in
superficie si è verificato il corrugamento della catena appenninica, che
attraversa quasi l’intera penisola, e della catena alpina più a nord (fig. 1).
Il movimento relativo tra le placche litosferiche avviene con velocità media di
pochi millimetri all’anno, verosimilmente con periodi in cui la velocità
aumenta o diminuisce rispetto al tasso medio. Nel corso di questo processo la
litosfera si deforma accumulando energia elastica nelle rocce, che viene
liberata istantaneamente con la sua fratturazione e con l’accadimento dei
terremoti.
La
conformazione attuale della penisola italiana e la sua sismicità sono, in
particolare, da mettere in relazione al movimento verso N/NNO della microplacca
Adriatica (Adria, fig. 2), come dimostrato dagli studi sulla distribuzione
spazio-temporale delle deformazioni nell'area mediterranea. Nel suo spostamento
si generano intense singolo
forte evento che emerge in modo preponderante sugli altri quanto da sequenze di
più eventi, con energia spesso limitata ma talora anche intensa. In questo
ultimo contesto una delle crisi sismiche italiane più note in tempi storici,
per intensità e distribuzione areale degli effetti, si verifica nel 1456 ed interessa
un’ampia porzione dell’Italia centro-meridionale.
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Figura 2: Assetto tettonico e cinematica dei blocchi nel
Mediterraneo centrale.
1: dominio continentale africano; 2: dominio
continentale africano-adriatico
(microplacca Adria); 3: dominio oceanico
ionico; 4: settore esterno
dell'Appennino trasportato dalla placca Adria;
5-6-7: principali lineamenti
tettonici compressionali, estensionali e
trascorrenti. Le frecce blu indicano
il quadro cinematico di lungo termine
(post Pleistocene Medio) rispetto
all'Eurasia. AM: Appennino Meridionale; AC:
Appennino Centrale;
AS: Appennino Settentrionale; ASE: Alpi Sud-Orientali; SV:
Sistema di faglie
Schio-Vicenza (da: Mantovani
e al., 2011)
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La
prima scossa si verifica nella notte del 5 dicembre 1456. La magnitudo, stimata
in base alla distribuzione degli effetti macrosismici, è di 6.9. Il terremoto
colpisce soprattutto il Sannio e l’Irpinia con effetti devastanti nelle
cittadine di Apice e Paduli. Danni importanti si registrano anche ad Ariano,
prossimo all’epicentro, nella Capitanata pugliese, e perfino a Napoli, dove
crolla il campanile della chiesa di Santa Chiara. A meno di un mese di distanza
si verifica un altro evento rilevante che colpisce però un’area localizzata più
a nord. La magnitudo è simile a quella dell’evento precedente. Il terremoto
produce danni gravi nella zona del Matese, ad Isernia, Boiano, Campobasso e
nell’intero Molise, con gli effetti più importanti a Frosolone, vicino
all’epicentro, e Vinchiaturo, con risentimenti degli effetti che coinvolgono
anche alcune aree della Puglia. Nel gennaio 1457, la sequenza sismica si chiude
con un terremoto di magnitudo stimata intorno a 6.0 che colpisce l’Abruzzo, in
particolare il comprensorio delle Majella e del Gran Sasso. L’epicentro viene
localizzato nei pressi di Tocco da Casauria e Caramanico, dove si registrano
gli effetti più gravi (fig. 3).
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L’intera
sequenza sismicacolpisce un’area di circa 18.000 chilometri quadrati, dal
Lazio alla Basilicata e dal Tirreno all’Adriatico provocando, nel 6%
dell’intero territorio nazionale, danni riconducibili all’VIII grado della
scala Mercalli. Il terremoto devasta un’ampia fascia a cavallo dell’Appennino,
tra i comprensori allora afferenti al Regno di Napoli e allo Stato della
Chiesa, provocando oltre 20mila morti.
Ai fini della ricostruzione macrosismica di questo
evento si è rivelata molto importante l’analisi di antichi documenti conservati
nelle biblioteche e negli archivi ecclesiastici, tra i quali una sorta di
codice coevo ai sismi, redatto da Giannozzo Manetti che, per conto del Re
Alfonso d’Aragona, visitò le zone colpite, riportando minuziosamente il quadro
dei danni e le vittime. Il testo, De Terraemotu Libri Tres, rappresenta
un primo tentativo di catalogo sismico, sia pure con i limiti comprensibili
dovuti alla scarsa conoscenza del fenomeno.
Tuttavia, ancora oggi il quadro sismotettonico nel
quale si verifica la successione di questi terremoti non risulta del tutto
chiaro. Per queste sequenze sismiche si introdurrà in seguito un modello
interpretativo nuovo, basato sull’interazione che la variazione del campo di
stress di un terremoto produce sulle faglie limitrofe le quali, trovandosi in
uno stato critico, possono essere riattivate a breve distanza temporale. Va
inoltre considerato che la catena Appenninica è una struttura molto eterogenea
e complessa, con diverse strutture tettoniche, le faglie, dislocate e talvolta
indipendenti tra loro, che possono però riattivarsi quasi simultaneamente per
l’azione della variazione del campo di stress locale o regionale.
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Figura 4: La diffusione delle intensità macrosismiche
stimate
nella sequenza sismica del 1561 nel Vallo di
Diano (da INGV - Sezione
Milano-Pavia. Consultabile
all'indirizzo internet: www.emidius.mi.ingv.it/DOM/
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A circa
cento anni di distanza, tra la fine di luglio e la fine di agosto del 1561,
un’altra importante sequenza sismica si verifica, stavolta più a sud, in
un’area compresa tra Campania, Basilicata ed alta Calabria. L’evento è
conosciuto come il terremoto del Vallo di Diano, la zona dove avvengono i danni
maggiori, un luogo paesaggisticamente splendido, oggi dichiarato dall’Unesco
patrimonio mondiale dell’umanità. Su questo terremoto tuttavia non si hanno
molte notizie, anche se sembra si tratti di una sequenza di due eventi, la cui
magnitudo stimata è superiore a 6.0, i quali causano probabilmente un numero di
vittime superiore alle 500 unità. I paesi più colpiti sono Tito, Buccino, Polla
e Caggiano. Numerosi crolli si segnalano anche a S. Angelo Le Fratte, S.
Arsenio, S. Rufo, Calitri, Atena, Picerno, Sala, Balbano, Ruoti ed in città più
popolose come Potenza e Avellino. Il sisma viene chiaramente avvertito a
Napoli, dove si registrano lesioni in alcune chiese, sulla costa campana, sui
Monti Alburni e nel versante meridionale del Vulture (fig. 4). Lo studio di
questa sequenza non si rivela semplice, anche perché storicamente il Vallo di
Diano sembra avere una sismicità bassa, ed i soli effetti sul costruito non
saranno sufficienti ad identificare con certezza l’area epicentrale.
Un quadro sismotettonico così complesso come quello
della penisola italiana, e la mancanza di un modello fisico deterministico che
ne riproduca i comportamenti, rende assai ardua la comprensione della dinamica
delle faglie appenniniche e della loro interazione. Le osservazioni empiriche
dimostreranno tuttavia che l’accadimento di un terremoto di energia moderata
non può escludere il verificarsi, a breve distanza temporale, di un evento di
energia comparabile. Un’osservazione che sollecita valutazioni attente sulla
pericolosità sismica e sulla vulnerabilità degli edifici in aree ad alto
rischio.
Riferimenti bibliografici
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d'Italia. Fratelli Bocca
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Active Range-Boulding Fault in Southern Italy Using Shallow High-Resolution
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nuove ipotesi dal riesame congiunto di dati storici e strutturali. GNGTS
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sismica dell'Appennino Tosco-Emiliano-Romagnolo e Val Padana. Regione Toscana e Regione Emilia-Romagna, Centro Stampa Regione
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http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/geologia/servizio-geologico-sismico-suoli
e http://www.rete.toscana.it/sett/pta/sismica/index.shtmlww.regione.toscana.it
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MeteoWeb: tutti i terremoti con magnitudo superiore a 5.5 della storia
d’Italia. MeteoWeb. Consultabile all’indirizzo internet: http://www.meteoweb.eu/2012/06/esclusiva-meteoweb-tutti-terremoti-con-magnitudo-superiore-5-5-della-storia-ditalia/141308/
Signorino M., Mauro F. (2006); Disastri naturali - conoscere per prevenire. ISAT
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