Sin dai primordi, l'uomo ha
cercato di capire l'origine dei terremoti. Gli antichi greci ed i cinesi sono
stati i primi a promulgare teorie sulla nascita dei sismi ma nel Medioevo si
riteneva i grandi disastri naturali una punizione divina per l'umanità
degenere. Solo l'Illuminismo e la teoria dell'attualismo portano, anche sulla
scia del grande terremoto di Lisbona del 1755, ad un nuovo paradigma che
fornisce una visione innovativa dei processi geologici: bisogna osservare il
presente per conoscere il passato e comprendere l'evoluzione futura della
Terra. Nell'Ottocento l'Italia, grazie al suo paesaggio dinamico, diventa il
luogo preferito in cui molti scienziati cercano conferme alle loro teorie:
l'irlandese Robert Mallet (che studia il terremoto lucano del 1857), il
vogherese Mario Baratta ed il sacerdote-naturalista Giuseppe Mercalli (ideatore
dell'omonima "scala" per la misura dei sismi) rappresentano i
"padri" della sismologia moderna. Nella prima metà del XX secolo
l'opera viene proseguita da Alfred Wegener, con la sua celebre teoria della
"deriva dei continenti", e Charles Richter che, con la Magnitudo,
fornisce un valore assoluto di energia capace di confrontare l'intensità di
qualsiasi terremoto. La complessità dei sistemi fisici che regolano i processi
geodinamici porta però, ancora oggi, ad inserire i terremoti tra i processi
naturali caotici e non prevedibili con l'approccio della fisica classica.
L'unica difesa dagli eventi sismici, purtroppo spesso disattesa, pare la
realizzazione di edifici più sicuri in funzione del rischio sismico associato.
di: Giampiero
Petrucci (1) e Stefano Carlino (2)
1) Ricercatore del GeoResearch Center Italy – GeoBlog (sito internet: www.georcit.blogspot.com;
mail: dottgipe@gmail.com).
2) Ricercatore Geofisico dell’Istituto Nazionale
Geofisica e Vulcanologia e collaboratore del GeoResearch Center Italy –
GeoBlog;
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GeoResearch Center Italy - GeoBlog, pub. n° 1 (2015), ISSN: 2240-7847.
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Figura 1: Il "rivelatore di terremoti", o
"sismometro", ideato
dall'astronomo cinese Chang Heng nell'anno 132 (da: Marilyn Shea, UMF. Consultabile all'indirizzo internet: http://hua.umf.maine.edu/China/astronomy/tianpage/ 0011H.6880w.html). |
L'uomo
da sempre ha dovuto convivere con i terremoti, cercando di capirne l'origine
attraverso le più variopinte interpretazioni e credenze. Gli antichi Greci
ritenevano i sismi una volontà degli dei, anche se alcuni grandi filosofi
cercarono una risposta “naturale” agli eventi tellurici. Talete, nel VI secolo
a.C., attribuiva l'origine delle scosse ad una sorta di eruzioni sotterranee di
acqua calda, mentre Aristotele, due secoli dopo, promulgò la teoria, a lungo
accreditata, per la quale i terremoti erano legati ad una sorta di vento
terrestre (definito pneuma) che
soffiava all'interno del pianeta. Più tardi, all’inizio del primo millennio, i
pragmatici cinesi eseguirono un primo tentativo di misurare l’arrivo di un
terremoto. Nell'anno 132 l'ingegnoso astronomo Chang Heng inventò una sorta di
artistico rivelatore di terremoti (definibile come sismometro) (fig. 1) che -
basandosi sul principio del pendolo ed utilizzando un grande recipiente di
bronzo in cui erano raffigurati draghi e rane - all’arrivo dell’onda sismica
permetteva ad una sferetta di cadere liberamente in una determinata direzione.
La sferetta, raccolta nella bocca di una rana, indicava non solo l’arrivo
dell’onda ma anche la sua direzione.
Nel
Medioevo prevarrà ancora la cultura del catastrofismo, di stampo Aristotelico,
per cui i terremoti saranno una sorta di punizione divina per l’umanità. Con il
Rinascimento si assiste ad un graduale passaggio verso teorie
"pseudo-scientifiche" come quella di Gassendi, all'inizio del XVII
secolo, che riteneva i terremoti una conseguenza di esplosioni di sacche di gas
nei vuoti delle rocce, o come quella di Saint-Lazare che attribuì i movimenti
tellurici a fenomeni elettrici e tuoni sotterranei. Il grande terremoto di
Lisbona del 1755 diede un forte impulso alle ricerche e agli studi sull’origine
di questi eventi catastrofici. Questo sisma, che rimarrà a lungo
nell'immaginario collettivo dell'intera Europa, fu studiato da John Michell, il
quale stabili che il terremoto fu causato da una perturbazione della crosta
terrestre, originatasi sotto l’Oceano Atlantico. Egli propose anche l’idea che
i terremoti si propagassero come onde attraverso le rocce, a partire da un ben
definito punto, dando un primo importante contributo al nascente campo della
sismologia. Pochi anni prima, nel 1751, Andrea Bina, un monaco benedettino,
aveva ideato a Perugia un sismografo a pendolo, a seguito del forte terremoto
che aveva colpito la zona di Gualdo Tadino. La sismologia cavalcherà l’onda del
nascente attualismo, tra il XVIII ed il XIX secolo, un nuovo paradigma che darà
una visione innovativa dei processi geologici che accadono sul nostro pianeta,
con i contributi fondamentali di James Hutton e Charles Lyell. La teoria
dell'attualismo prenderà spunto dall’osservazione del presente come chiave per
interpretare il passato. La Terra è un sistema in continua evoluzione, i
fenomeni geologici che hanno modellato la crosta terrestre accadono da sempre,
in maniera lenta ed impercettibile: una visione in opposizione alla teoria del
catastrofismo, secondo la quale la Terra sarebbe soggetta a improvvisi
sconvolgimenti geologici. Con questa nuova chiave di lettura le registrazioni
geologiche contenute nelle rocce rappresentano gli elementi fondamentali per
interpretare il passato e comprendere l’evoluzione futura del nostro pianeta.
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In questo
clima culturale, assume un ruolo significativo il fortissimo terremoto che
colpisce la Basilicata, il 16 dicembre 1857 (con oltre 10.000 morti). L’evento
stimola l'interesse
di molti scienziati, in particolare dell'irlandese Robert Mallet, già autore di
un catalogo e di una carta sismica del mondo, e del fondamentale testo "On
the Dynamics
of Earthquakes". Mallet viene appositamente inviato in Italia dalla Royal Geographic Society, per fornire
una relazione dettagliata dell'evento (fig. 2), un’esperienza che sarà
fondamentale per gli studi successivi sui terremoti. Tra questi assumono
particolare rilevanza, a cavallo tra 1800 e 1900, gli studi di Mario Baratta e
Giuseppe Mercalli. Il
primo, un geografo vogherese, può essere definito il "padre" della
sismologia storica, un settore di ricerca che si occupa di ricostruire gli
effetti e l’intensità dei sismi avvenuti in passato. Il suo testo “I terremoti
d'Italia”, edito nel 1901, rappresenta il primo catalogo sismico del nostro
paese, con un elenco dettagliato di 1364 terremoti avvenuti in duemila anni di
storia. Baratta, tra l'altro, realizzerà la prima carta sismica d'Italia.
Giuseppe Mercalli (fig. 3), milanese di nascita ma vissuto molti anni e morto a
Napoli, naturalista e geologo, rimane nella storia della sismologia per aver
definito, nel 1902, una scala per la misura dell’intensità dei terremoti, che
prenderà il suo nome. Essa rappresenta la sintesi di anni di studi e
osservazioni sui terremoti, durante i quali Mercalli esaminò il rapporto tra
sisma e danni prodotti. Egli è stato anche autore di importanti studi sui
vulcani e sul rapporto tra la loro attività ed i terremoti.
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Figura 4: La distribuzione geografica delle placche con i
relativi margini di contatto,
linee preferenziali di sviluppo di forti terremoti. Le "zolle" rigide della litosfera si muovono, quasi "galleggiando", sulla più soffice astenosfera (da: Eduseis, The Educational Seismograph Project, consultabile all'indirizzo internet: http://eduseis.na.infn.it/didattica/moduloI/placche.htm). |
Il
paradigma dell’attualismo trova in seguito un importante sviluppo intorno agli
anni '20 grazie ad Alfred Wegener e la sua teoria della "deriva dei
continenti", riformulata cinquant'anni dopo come "tettonica a
zolle" (fig. 4), e convalidata in seguito alle osservazioni sperimentali
eseguite sui fondali oceanici a partire dagli anni ’70 (Upper Mantle Project).
Tali osservazioni hanno dimostrato empiricamente che i
fondali oceanici si espandono, a partire dalle dorsali oceaniche, producendo lo
scontro tra le zolle. Queste costituiscono la parte rigida più esterna del
nostro pianeta, la litosfera, che galleggia sulla sottostante astenosfera, più
fluida. Le zone più attive della crosta terrestre sono quelle lungo le quali
avviene lo scontro o lo scorrimento fra le zolle, dove si concentra gran parte
dell’attività sismica e vulcanica (fig. 5).
Con il
grande terremoto di San Francisco del 1906, la
ricerca sismologica, a fronte di un immane disastro, compie un ulteriore gran
balzo in avanti. Grazie a misure geodetiche effettuate prima e dopo il terremoto,
che evidenziano lo spostamento subìto dalla faglia di San Andreas, il geofisico
statunitense Harry Fielding Reid enuncia la teoria del
“rimbalzo elastico”. Essa dimostra che gli sforzi tettonici, applicati per
lunghi tempi nella crosta terrestre, si liberano in pochi secondi sotto forma
di energia elastica (le onde sismiche) accumulata dalle rocce durante il
processo deformativo. E’ il primo vero passo verso la sismologia quantitativa.
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Figura 5: Mappa della pericolosità sismica in Europa (da:
Meletti C. e ETHZurich, consultabile
all'indirizzo internet http://seismo.ethz.ch/GSHAP/index.html). |
La
prima metà del XX secolo fu dunque ricca di progressi in sismologia, per il
costante evolversi delle conoscenze sui processi geodinamici e per la qualità e
quantità di dati strumentali, la cui produzione veniva favorita dallo sviluppo
di sismografi sempre più avanzati e di strumentazioni di alta precisione per il
monitoraggio dei movimenti della crosta terrestre. I sismogrammi consentiranno
di quantificare l’energia dei terremoti analizzando l’ampiezza massima
dell’onda sismica, ed assegnando così, a differenza della scala di intensità di
Mercalli, un valore assoluto di energia ad ogni terremoto, la magnitudo. Ideata
dallo scienziato statunitense Charles Richter, la scala dei terremoti basata sulla magnitudo
sostituirà progressivamente, con la diffusione delle reti sismiche strumentali,
la scala Mercalli. Quest'ultima è tuttavia ancora utilissima alla sismologia,
perché consente di confrontare, grazie a formule matematiche empiriche che
correlano intensità e magnitudo, l’energia dei terremoti del passato (per i
quali non si hanno registrazioni strumentali, ma solo valutazione dei danni) con
quella dei terremoti attuali.
Però,
nonostante i grandi passi in avanti compiuti in tempi recenti dalla sismologia,
non esistono ancora modelli matematici in grado di prevedere i terremoti. La
sismologia quantitativa ha fornito un contributo indispensabile per definire i
meccanismi di rottura delle faglie, l’energia dei terremoti, per caratterizzare
le sorgenti sismiche e stabilire il livello di rischio delle aree
tettonicamente attive. Un approccio olistico a questa materia ha dimostrato,
tuttavia, che la complessità dei sistemi fisici che regolano i processi
geodinamici, non permette di far convergere gli sforzi degli scienziati che
studiano i terremoti verso risultati deterministici. Per questo motivo i
terremoti vengono inclusi tra quei processi naturali definiti caotici, non
prevedibili con l’approccio della fisica classica.
Il
fallimento della previsione dei terremoti, con il tentativo di definire una
teoria scientifica unificatrice, ha causato una grande crisi della sismologia.
Nonostante l’aumento della qualità e quantità dei dati raccolti, nessun
progresso significativo è stato conseguito nella comprensione dell’accadimento
dei terremoti. Con l’approccio statistico alla previsione si è tentato di
colmare questa lacuna conoscitiva. Sebbene formalmente corretto, tale approccio
non tiene conto della reale dinamica in atto nella crosta terrestre, e non può
essere utilizzato per la previsione a lungo e breve termine. Per i limiti
intrinseci di una scienza così complessa, che non riesce a definire una teoria
unificatrice sui terremoti, l’unica difesa da eventi naturali così dannosi sarà
la costruzione di abitazioni sicure. L’ingegneria sismica è intervenuta, in
tempi moderni, per progettare edifici in grado di resistere alle sollecitazioni
delle onde prodotte dai terremoti. Il successo in questo campo è risultato
particolarmente positivo in paesi come il Giappone e la California, dove i
fortissimi terremoti, senza il contributo dell’ingegneria sismica, avrebbero
causato delle catastrofi immense, come già accaduto in passato.
L’espansione urbanistica
in aree altamente sismiche non può prescindere dalla pianificazione in funzione
del rischio associato ai forti terremoti. Si tratta di una problematica delicata, e di non semplice risoluzione,
specie in paesi come l’Italia,
dove la presenza di centri storici di età medievale e di centri urbani vetusti,
seppur di epoca moderna, rende necessario l’impiego di ingenti investimenti
economici e di qualificato lavoro di tecnici, geologi ed ingegneri, al fine di
rendere più sicure le abitazioni ed abbassare il rischio sismico a livelli
accettabili. La scienza in questo caso fornisce un contributo essenziale,
poichè le ricerche sismologiche consentono di stabilire il livello di rischio
delle aree sismogenetiche e di progettare gli edifici in funzione delle massime
sollecitazioni sismiche attese, con diversi periodi di ritorno dei terremoti.
Questo sistema di prevenzione è l’unico efficace nella difesa dai terremoti, ma
tuttavia oggi appare ancora troppo spesso disatteso.
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