Paolo Balocchi 1 Giulio Riga 2
Riassunto: Lo studio delle sequenze sismiche della Garfagnana e
Lunigiana ha messo in evidenza il regime attuale distensivo del retropaese
appenninico, legato al movimento lungo faglie, che si sono riattivate o si sono
formate durante i terremoti del 25 gennaio e 21 giugno 2013. Tali strutture
possono essere descritte come faglie normali di di ralay-ramp con una
distensione N-S, che accomodano la deformazione tra le master faults
della Lunigiana e Garfagnana. Associate a queste strutture si evidenziano delle
faglie trascorrenti dette tear-fault con direzione antiappenninica che
giocano un ruolo di svincolo cinematico tra la struttura sismogenetiche della
Garfagnana Nord e quella Sud. Tali strutture si possono collocare all'interno
di un quadro tettonico ben preciso e rappresentato da un piano di subduzione
formato dalla microplacca Adria che scorre verso SW sotto la placca Europa. Il
piano arretra progressivamente per effetto del roll-back determinando un
regime estensivo con direzione variabile da N-S a NE-SW, nella zona del
retropaese dell'Appennino Tosco-Emiliano.
(1) Geologo del GeoResearch Center Italy – GeoBlog (sito
internet: www.georcit.blogspot.com;
mail: georcit@gmail.com).
(2) Geologo e collaboratore del
GeoResearch Center Italy - GeoBlog (mail: giulio.riga@tin.it).
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GeoResearch Center Italy - GeoBlog, pub. n° 2 (2013), ISSN: 2240-7847.
Introduzione
Il versante toscano, che rappresenta il retropaese dell’Appennino
settentrionale, costituisce un’area di transizione, tra il bacino tirrenico in
apertura e la zona frontale adriatica in compressione (Boccaletti e al.,
1994). Quest’area si chiude verso NW in Lunigiana e Garfagnana (Bartolini e al., 1983; Mantovani
e al., 2010), sede delle ultime
sequenze sismiche del 25 gennaio e 21 giugno 2013.
Si vogliono discutere di seguito i dati sismologici e le strutture
tettoniche presenti nel settore della Lunigiana e Garfagnana, al fine di
definire il modello sismotettonico dell’area che ha generato gli ultimi
terremoti.
Inquadramento tettonico regionale
L’Appennino settentrionale è una catena a falde (Elter,
1960; Reutter, Groscurth, 1978)
facente parte del sistema alpino, formatosi durante il Terziario in seguito
alla collisione tra due blocchi continentali rappresentati dalla zolla Europea
e dalla microplacca Adria, inizialmente connessa alla zolla Africana (Boccalletti e al., 1971; Boccalletti,
Guazzane, 1972). L’edificio appenninico è costituito da una pila di
unità tettoniche riferibili a tre principali domini: il Dominio Ligure, i cui
sedimenti si sono deposti originariamente su crosta oceanica (Liguri s.l., Auctt.),
il Dominio Subligure, sviluppatosi sulla crosta assottigliata africana
adiacente alla zolla oceanica, il Dominio Tosco-Umbro-Marchigiano,
rappresentato da successioni del margine continentale dell’Adria la cui età
inizia a partire dal Triassico.
La storia geologica dell’Appennino che porta alla sua struttura
attuale, avviene in tempi successivi, ed è caratterizzata dalla sedimentazione
durante il Cretaceo-Eocene medio (Fase Eoalpina) e la messa in posto dei
sedimenti Liguri, Subliguri e Tosco-Umbro-Marchigiani all’interno del Bacino
Ligure-Piemontese che è diviso in domini paleogeografici distinti come
descritto in precedenza (Boccaletti,
Guazzone, 1970; Abbate, Bruni, 1989; Chicchi,
Plesi, 1992). A partire dal Cretaceo
Superiore, si ha l'inizio della chiusura del bacino Ligure-Piemontese con la
formazione di una subduzione e il relativo prisma di accrezione (Riguzzi e al., 2010) che porta
alla strutturazione dell’edifici appenninico.
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Figura 1: Modello della subduzione della placca Adria al di
sotto della placca Europea, con la relativa Catena Appenninica.
(modificato da: Doglioni 1991). |
Il modello tettonico attuale (fig. 1) che spiega la struttura dell’edificio
appenninico è quello della tettonica a placche rappresentato dallo scontro tra
la placca Europa e quella Adria (un frammento di quella africana). La
collisione tra le due placche forma un piano di subduzione inclinato di 65°-70°
circa che immerge verso SW della microplacca Adria che scorre al di sotto della
catena appenninica formatasi sulla placca Europa (Doglioni e al.,
1991; Riguzzi e al., 2010; Balocchi,
2011).
L’Appennino settentrionale può essere diviso in aree omogenee dal
punto di vista della strutture deformative litosferiche. Infatti il retropaese
appenninico corrispondente al versante tirrenico, è denominato da diversi
autori come Internal Belt (BARTOLINI e al., 1983; BOCCALETTI e al., 1985), caratterizzato dallo sviluppo di bacini intermontani con
direzione appenninica. La formazione e l’evoluzione di tali bacini, è legata
esclusivamente alla tettonica distensiva (Trevisan,
1952; Giglia, 1974; Lazzarotto, Mazzanti, 1976; Ambrosetti e al., 1979; Bossio e al., 1993; Martini, Sagri, 1993) lungo le fosse tettoniche in
corrispondenza dei bassi strutturali e limitate dagli alti strutturali da
sistemi di faglie normali coniugate, che determinano un regime distensivo
dell’area.
Le fosse tettoniche della Lunigiana e Garfagnana rappresentano due struttura
distensive in direzione NE-SW, costituite da due graben asimmetrici limitati da faglie bordiere e dagli horst laterali (fig. 2)(Mantovani e al., 2010). La faglia principale è rappresentata da un livello di
scollamento denominato “faglia Liguride” (Mantovani
e al., 2010) ben visibile sulle linee
sismiche (Argnani e al., 1997), ed ubicata al tetto delle
unità del basamento, posta grossomodo ad una profondità variabile e compresa
tra i 5 e i 10 km (Anelli e al., 1994). Questa superficie di
scollamento è inclinata verso NE di circa 30° e viene utilizzata dai principali
sistemi di faglie normali listriche che rappresentano le strutture bordiere dei
graben della Lunigiana e Garfagnana (Finetti, 2010; Mantovani e al.,
2010).
Associate alle strutture horst & graben si ritrovano strutture tettoniche ad andamento antiappenninico, denominate in letteratura come linee trascorrenti con una notevole evidenza geomorfologica già evidenziata in passato da numerosi autori (Ghelardoni, 1965; Gelmini, 1974; Boccaletti e al., 1981; Fazzini, Gelmini, 1982; Castellarin e al., 1986; Perlotti, 1991). Anche i dati sismici (distribuzione degli epicentri e ipocentri) mettono in evidenza la loro presenza e la sismicità delle faglie antiappenniniche sembra direttamente correlata alle strutture appenniniche compressive per il fronte della catena e distensive per il retropaese.
Alla scala mesoscopica, le linee trasversali sono rappresentate da
vere e proprie fasce deformative, composte da piani di faglia verticali (Castellarin et alii, 1985) che limitano
blocchi affiancati strutturalmente omogenei.
Alcuni autori (Fazzini, Gelmini, 1982; Bettelli e al., 2002), sulla base di
evidenze geomorfologiche e ad indizi
geologico–strutturali, le descrivono come strutture di svincolo cinematico dei
diversi blocchi adiacenti (tear-fault
o faglie di trasferimento subverticali ad andamento antiappenninico), senza
però definire se il movimento sia stato il medesimo nel tempo o se si abbiano
avute delle inversioni, non escludendo eventuali ringiovanimenti di alcune
delle strutture. Studiando i dati stratigrafici relativi all’Unità
Tosco–Umbro–Marchigiana, e dalle coperture sedimentarie mio–plioceniche e
pleistoceniche del margine appenninico padano, è stato stimato che la loro
attività abbraccia l’arco di tempo che corre dal Mesozoico inferiore fino al
Pliocene, Pleistocene. Lo svincolo cinematico delle linee trascorrenti
antiappenniniche ha giocato un ruolo fondamentale durante la storia tettonica
dell’Appennino che ha visto la sua rotazione antioraria e il movimento verso
est dei singoli blocchi fino alla posizione attuale.
La fase di rilascio di energia è iniziata
con un foreshock di magnitudo 3,6 registrato
il 5 marzo 2007 nella parte più ad est dell’area analizzata, al quale sono
seguiti altri due foreshock di
magnitudo 4,8 (evento del 25 gennaio 2013)
e 5,2 (del 21 giugno 2013)
accaduto sul bordo della faglia della Garfagnana e seguito da un significativo
aumento della sismicità superficiale osservata.
La distribuzione degli eventi sismici (fig. 5) appartenenti alla sequenza sismica del terremoto di magnitudo 5,2 del 21 giugno 2013, mostra un allineamento lungo la direzione WSW-ENE che ricalca grossomodo quella della sequenza attivata con il terremoto di magnitudo di 4,8 del 24 gennaio 2013.
Bibliografia
Figura 3: Sequenza temporale di lungo periodo dei
valori di magnitudo.
|
Sismologia
Dai dati sismologici disponibili in bibliografia (NCEDC, 2013; INGV,
2013), è stato possibile studiare le sequenze sismiche di lungo periodo e
quelle di medio periodo.
La sequenza di lungo periodo (fig. 3) mostra un primo ciclo sismico
iniziato il 23 gennaio 1985 con un evento di magnitudo 4,9 (Mb) al quale è
seguita una fase di assestamento terminata il 30 settembre 1993 con un evento
di magnitudo 3,4.
In seguito è iniziato il secondo ciclo, con una fase di rilascio di
energia conclusa il 31 dicembre 1995 con l’evento di magnitudo 4,8 e la fase di
assestamento durata fino al 19 marzo 2004 con l’evento di magnitudo 2,9 seguita
da una nuova fase di rilascio di energia caratterizzata fino a questo momento
dall’evento di magnitudo 5,2 (Mw) del 21 giugno 2013 classificabile come foreshock.
Figura 4: Sequenza temporale di medio periodo dei valori di magnitudo. |
Analizzando la sismicità
temporale di medio periodo (fig. 4), si evince come l’area è caratterizzata da
sciami di sequenze simili senza evidenti mainshock
(infatti il terremoto del 21 giugno viene classificato nel seguente studio come
foreshock).
La struttura della
sequenza sismica di medio periodo mostra cinque eventi caratteristici di
magnitudo compresa tra 3,6-5,2 Ml, registrati nel periodo che va dal 5 marzo
2007 al 30 giugno 2013 e più di 2300 scosse di minore entità (Tabella 1). Tabella 1 |
Figura 5: Distribuzione delle sequenze sismiche della Garfagnana e Lunigiana dal 2005 al 2013, dove sono evidenziati gli eventi principali. |
La distribuzione degli eventi sismici (fig. 5) appartenenti alla sequenza sismica del terremoto di magnitudo 5,2 del 21 giugno 2013, mostra un allineamento lungo la direzione WSW-ENE che ricalca grossomodo quella della sequenza attivata con il terremoto di magnitudo di 4,8 del 24 gennaio 2013.
Il terremoto del 21 giugno 2013 è stato
seguito da due aftershocks con
moderata magnitudo di 4,4 registrati il 23 e il 30 giugno 2013
con epicentri migrati verso NE per 6 km circa. Tale sequenza è stata più
attiva durante i primi 11 giorni, mentre dal 2 luglio 2013 il numero di eventi
registrati è stato inferiore a 50 al giorno.
Il tasso di sismicità superficiale fino al
18 giugno 2013 è stato estremamente basso
(numero di eventi al giorno minori di 7) per poi aumentare gradualmente fino al
21 giugno 2013. In seguito, dopo l’evento di magnitudo 5,2 il tasso di
sismicità è aumentato bruscamente con eventi di diversa magnitudo (fig. 6).
Figura 6: Numero degli eventi sismici giornaliero. |
Il terremoto di magnitudo 5,2 del 21 giugno 2013, si è verificato ad una
profondità di 5,1 km, dove già sono stati osservati in precedenza altri eventi,
mentre la maggior parte dei sismi si trovano più in profondità (intorno ai 10
km). Inoltre, sulla sequenza temporale si nota una convergenza congruente con
la fase di rilascio che ha preceduto l’evento, rispetto alla tendenza generale
della sequenza (fig. 7).
Il valore della magnitudo degli eventi di grandezza maggiore varia tra
5,1 km e 9,8 km, mentre la maggior parte
degli eventi si sono verificati ad una profondità minore di 15 km.
Figura 7: Sequenza temporale delle profondità ipocentrali. |
La distribuzione delle profondità ipocentrali mostra un piano che immerge
verso NE circa con un basso angolo di inclinazione, come evidenziato dalle
sezione sismologiche (fig. 8).
Dalla sequenza temporale di medio periodo degli ipocentri si nota un
primo piano ipocentrale alla profondità di circa 15 km, generato dall’evento
del 25 gennaio 2013 di magnitudo 4,8 esteso fino a circa 10 km.
Tutto l’assestamento riguardante la scossa del 21 giungno 2013 è
allineato lungo un piano che si trova tra 0 e 10 km, caratterizzato nella parte
iniziale anche da terremoti poco profondi convergenti verso la profondità di 9
km. Non ci sono stati terremoti inferiori a 20 km dopo la scossa di magnitudo
5,2.
Figura 8: Sezioni sismologiche in direzione a) W-E e b) N-S. |
I due meccanismi focali (Pondrelli e al., 2006; 2011) dei terremoti del 25
gennaio 2013 (fig. 9a) e del 21 giugno 2103 (fig. 9b), suggeriscono un campo di
sollecitazione di tipo distensivo.
Figura 9: Meccanismi focali dei terremoti
(a) in Garfagnana del 25/01 e (b) in Lunigiana del 21/06. |
Il meccanismo focale dell’evento del 25 gennaio 2013 evidenzia un
meccanismo di rottura trascorrente compatibile con una direzione di massima
compressione orizzontale WNW-ESE e una direzione di massima estensione NNE-SSW.
Le due faglie sono rappresentate da una trascorrente obliqua sinistra in
direzione NE-SW, coniugata ad una faglia trascorrente obliqua destra con
direzione NW-SE.
L’evento del 21 giugno 2103 presenta un meccanismo focale distensivo
compatibile con una direzione di massima estensione orizzontale N-S e una
direzione di massima compressione verticale. Le strutture sono rappresentate da
faglie normali con direzione W-E.
Sismotettonica
I dati sismolgici della distribuzione ipocentrale evidenziano
una superficie sismogenetica debolmente immergente verso NE, posta alla
profondità di circa 10 km. Tale superficie dal punto di vista tettonico è
descritta come scollamento principale, che costituisce uno svincolo cinematico
attualmente attivo, tra il basamento e la copertura sovrastante (Auglieri e al., 1990; Bernini, Papani, 2002).
I meccanismi focali dei terremoti storici sono congruenti con
le geometrie distensive rilevate in affioramento (Frepoli, Amato, 1997) evidenziando una direzione di massima
tensione NE-SW, mentre i meccanismi focali del due eventi della Garfagnana e
Lunigiana mostrano una direzione di massima tensione variabile NNE-SSW per il primo
terremoto in Garfagnana e N-S per il secondo terremoto in Lunigiana.
Sulla base dei dati sismologici
e tettonici è possibile definire il modello sismotettonico della Garfagnana e
Lunigiana (figg. 10, 11).
La struttura sismogenetia del
terremoto della Garfagnana è rappresentata da una faglia trascorrente destra a
direzione antiappenninica che gioca un ruolo di svincolo cinematico tra due
strutture sismogenetiche della Garfagnana nord e la Garfagnana sud (fig. 10)(DISS Working Group, 2010). Entrambe queste due strutture, sono rappresentate da faglie
normali con immersione NE e inclinate a basso angolo, che vanno a raccordarsi o
terminare alla superficie di scollamento basale. Il terremoto della Lunigiana
mostra una struttura sismogenetica di estensione in direzione N-S causa
l'attivazione di probabili ralay ramp (Larsen, 1988; Bernini, Papani, 2002) a direzione W-E
che raccordano le master faults della Lunigiana e della Garfagnana.
Conclusioni
Gli eventi sismici studiati mostrano dei chiari indizi di come
l'area del retropaese appenninico sia in estensione rispetto all'area del
fronte della catena che è in netta compressione (Balocchi, 2011; 2012; Balocchi, Santagata, 2012; Petrucci,
Balocchi, 2013).
Nel quadro tettonico regionale, l'Appennino
Tosco-Emiliano è il risultato della collisione delle placche Europa posta a SW
e Adria a NE (un frammento della placca Africana), che porta alla formazione di
un piano di subduzione di Adria che scende verso SW al di sotto di Europa con
una inclinazione di circa 60°-70°. In questo quadro tettonico (fig. 11), si
sviluppano faglie di trusts in
corrispondenza del fronte sepolto della catena appenninica (Balocchi, 2012; 2013; Balocchi, Santagata, 2012) e lungo il
margine (zona di avanpaese appenninico), mentre per effetto della rotazione del
piano di subduzione, denominato in letteratura come roll-back (Doglioni, 1991), si
sviluppa una tettonica di estensione nell'area del retropaese, con
formazione di horst & graben e la
riattivazione di faglie distensive che hanno determinato il terremoti della
Lunigiana. Per la Garfagnana, invece, si tratta di riattivazioni di faglie
trascorrenti di strappo (tear-faults)
che permettono la differente deformazione dei due blocchi della Garfagnana nord
e sud (fig. 10).Bibliografia
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