martedì 12 aprile 2011

Sismotettonica del basso e medio Appennino modenese-bolognese tra il Fiume Secchia e il Fiume Reno (Appennino settentrionale)

Paolo Balocchi (1) Giorgio De Luca (2)


Riassunto: lo studio sismotettonico che segue, relativo ad una porzione dell'Appennino modenese (Appennino Settentrionale) ha come obbiettivo quello di individuare le strutture tettoniche attive in grado di generate terremoti. Lo studio ha analizzato gli effetti (terremoti, distribuzione degli epicentri e degli ipocentri) per risalire, attraverso il concetto di Back-Analysis, alle cause scatenanti del terremoto, definendo la direzione dello sforzo tettonico attuale, i meccanismi di rottura e le faglie attive/non attive. E' stata prodotta una cartografia completa ed esplicativa del modello sismotettonico dell'area. Dalla Carta delle strutture tettoniche che descrive la distribuzione delle principali strutture tettoniche alla scala macroscopica, suddividendole nei principali sistemi di faglie; la Carta degli eventi sismici della Magnitudo che descrive la distribuzione spaziale degli eventi sismici dell'area in oggetto di studio in funzione della magnitudo, attraverso una opportuna classificazione; la Carta degli eventi sismici della profondità ipocentrale che descrive la distribuzione spaziale degli eventi sismici dell'area studiata in funzione della profondità ipocentrale, attraverso una opportuna classificazione. Il prodotto finale dello studio è rappresentato dalla Carta sismotettonica (elaborazione delle carte precedenti) che mette in relazione le struttura tettoniche agli epicentri allo scopo di definire l'attività delle faglie secondo principi sismologici: i) relazione di reciproca vicinanza tra epicentri e struttura tettonica; ii) allineamenti di epicentri secondo la direzione delle principali strutture tettoniche. La zonazione sismogenetica (dallo studio dei meccanismi focali e dei paleostress) ha permesso di dividere l'area studiata in differenti zone che mostrano uniformità nella direzione dello sforzo tettonico (direzione di massima compressione e direzione di massima estensione) e stessi meccanismi di rottura. Inoltre, lo studio ha messo in luce la presenza di una discontinuità alla scala macroscopica localizzata alla profondità di 10km. Anch'essa come alcune delle strutture tettoniche presenti nell'area, sono da considerasi attive in relazione alla direzione principale dello sforzo tettonico attuale. Altre strutture, invece si considerano potenzialmente attive o non attive in condizioni di stress tettonico attuale, ma potrebbero riattivarsi qualora si verifichi un cambiamento del regime tettonico.

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1 Geologo del GeoResearch Center Italy – GeoBlog (sito internet: www.georcit.blogspot.com; mail: georcit@gmail.com).
2 Geometra collaboratore del GeoResearch Center Italy – GeoBlog (sito internet: http://www.ricercasperimentale.blogspot.com/).
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GeoResearch Center Italy - GeoBlog, pub. n° 2 (2011), ISSN: 2240-7847. 2 database sismologici, 4 carte sismologiche, sismotettoniche alla scala 1:100000.


Introduzione
L'area oggetto dello studio sismotettonico è limitata ad ovest dal Fiume Secchia, ad est dal fiume Reno mentre a nord è limitata dal fronte della catena appenninica che è marcato dal passaggio tra basso Appennino e l'alta pianura (Castaldini, Balocchi, 2006) coincidente con il Fronte pedeappenninico e a sud è limitata da una struttura tettonica alla scala regionale. Tale struttura è denominata Fascio Interno che geograficamente divide il medio Appennino a nord e l'alto Appennino a sud, mentre geologicamente giustappone le unità toscane fortemente sollevate, affioranti nel blocco SW, dalle Liguridi relativamente ribassate e affioranti nel blocco NE.

Lo studio sismotettonico vuole definire:
  • l'attività sismica dell'area in base alla distribuzione degli epicentri;
  • l'attività delle strutture tettoniche classificandole opportunamente come strutture attive, potenzialmente attive, non attive. La classificazione terrà conto delle relazioni tra la distribuzione degli eventi sismici e  le strutture tettoniche (studio sismotettonico);
  • la direzione dello stress tettonico attuale e i probabili meccanismi di rottura, attraverso lo studio dei meccanismi focali e dei paleostress (ricavati da dati mesostrutturali in bibliografia);
  • una zonazione sismogenetica di dettaglio dell'area, a partire da quella nazionale;
  • eventuali strutture sepolte in grado di generare terremoti;
Il metodo di studio prevede l'analisi degli effetti (terremoti, distribuzione degli epicentri e degli ipocentri) per risalire, attraverso il concetto di Back-Analysis, alle cause scatenanti del terremoto, individuando la direzione dello sforzo tettonico attuale, i meccanismi di rottura, e individuando le faglie attive.
Lo studio è articolato in una prima fase di ricerca dei dati:
  1. dati geologici: definizione della geometria delle strutture tettoniche consultando la cartografia disponibile in letteratura: Carte Geologiche d'Italia alla scala 1:50.000 (Bettelli e al., 2002a; 2002b; Panini e al., 2002a; 2002b; Papani e al., 2002a; 2002b; Plesi e al., 2002a; 2002b; Severi e al., 2002a; 2002b) e la Carta Geologico – Strutturale dell'Appennino emiliano sudorientale  (Bettelli, Panini, 2002) e della Carta sismotettonica della Regione Emilia – Romagna (Boccaletti e al., 2004).
  2. dati sismologici: distribuzione degli epicentri e meccanismi focali (Eva, Solarino, 1992; Braunmiller e al., 2002; Gruppo di lavoro CPTI, 2004; Gruppo di Lavoro Catalogo Strumentale, 2005; Pondrelli e al., 2002; 2004; 2006; 2007; INGV, 2010);
Successivamente si passa ad analizzare i dati attraverso relativa cartografia tematica:
  1. Carta delle strutture tettoniche: descrive la distribuzione delle principali strutture tettoniche alla scala macroscopica suddivise nei principali sistemi di faglie;
  2. Carta degli eventi sismici della magnitudo: descrive la distribuzione spaziale degli eventi sismici dell'area in funzione della magnitudo, attraverso una opportuna classificazione;
  3. Carta degli eventi sismici della profondità ipocentrale: descrive la distribuzione spaziale degli eventi sismici dell'area in funzione della profondità ipocentrale, attraverso una opportuna classificazione;
  4. Carta sismotettonica: (dall'elaborazione delle carte precedenti) mette in relazione le struttura tettoniche agli epicentri per definire l'attività delle faglie (attive, probabilmente attive, non attive) secondo principi sismologici: relazione di reciproca vicinanza tra epicentro e struttura; allineamenti di epicentri alle strutture tettoniche. Dai meccanismi focali di alcuni terremoti e la direzione dei paleostress, ricavati da studi mesostrutturale descritti in bibliografia (Capitani, Sasso, 1994; Capitani, 1997; Balocchi 2003), si determina la direzione dello Stress Tettonico attuale e viene classificata l'area in differenti zone sismogenetiche, che mostrano: i) uniformità nella direzione dello sforzo tettonico, cioè stessa direzione di massima compressione e/o direzione di massima estensione; ii) stessi meccanismi di rottura.
Inquadramento geologico regionale
Il territorio studiato è compreso all'interno dell'area dell'Emilia-Romagna, che geograficamente è più fasta e geologicamente fa parte dell'Appennino settentrionale.
Alla scala regionale il territorio dell'Emilia-Romagna comprende due ambienti geomorfologici ben distinti e composti dall'Appennino e dalla Pianura Padana che sono  strettamente correlati (fig. 1, Boccaletti e al., 2004b). Il fronte della catena appenninica non coincide con il limite morfologico catena-pianura (margine appenninico-padano) ma è individuabile negli archi esterni delle Pieghe Emiliane e Ferraresi (Pieri, Groppi, 1981) sepolte dai sedimenti quaternari padani (fig. 1). Il fronte appenninico, circa all'altezza del Po, sovrascorre verso nord sulla piattaforma padano-veneta (fig. 2). Si può così schematizzare che l'evoluzione del territorio dell'Emilia-Romagna coincide con l'evoluzione del settore esterno della catena nord-appenninica.

Figura 1: Schema Geologico-Strutturale della Regione Emilia-Romagna
(da: Boccaletti e al., 2004).

L'Appennino settentrionale è una catena a falde (Elter, 1960; Reutter, Groscurth, 1978) facente parte del sistema alpino, formatosi durante il Terziario in seguito alla collisione tra due blocchi continentali rappresentati dalla zolla Europea e dalla microplacca Adria, inizialmente connessa alla zolla Africana (Boccalletti e al., 1971; Boccalletti, Guazzane, 1972). L'edificio appenninico è costituito da una pila di unità tettoniche riferibili a tre principali domini (fig. 1 e 2): il Dominio Ligure, i cui sedimenti si sono deposti originariamente su crosta oceanica (Liguri s.l., Auctt.), il Dominio Subligure, sviluppatosi sulla crosta assottigliata africana adiacente alla zolla oceanica, il Dominio Tosco-Umbro-Marchigiano, rappresentato da successioni del margine continentale dell'Adria la cui età inizia a partire dal Triassico.

Figura 2: Sezioni Geologiche della Regione Emilia-Romagna
(da: Boccaletti e al., 2004).

La storia geologica che porta alla conformazione strutturale attuale delle diverse unità avviene in tempi successivi e in più fasi tettoniche:
Fase Eoalpina: con la sedimentazione durante il Cretaceo-Eocene medio e messa in posto dei sedimenti Liguri, Subliguri e Tosco-Umbro-Marchigiani all'interno di domini paleogeografici distinti (Dominio Ligure, Domini Subligure, Dominio Tosco-Umbro-Marchigiano)(Boccaletti, Guazzone, 1970; Abbate, Bruni, 1989; Chicchi, Plesi, 1992);

Fase Mesoaltina o Fase Ligure: Strutturazione delle unità tettoniche liguri, subliguri e falda toscana causa la chiusura dell'oceano Ligure-Piemontese e la formazione di un piano di subduzione che porta alla completa consunzione della litosfera oceanica. In questo regime geodinamico si ha la formazione di un prisma di accrezione per raschiamento dei sedimenti deposti nei differenti domini paleogeografici (Eocene medio)( Boccaletti e al., 1971; Boccaletti, Guazzone, 1974; Treves, 1984; Marroni, 1991; Vescovi, 1991; Bettelli e al., 1994; 1996; Marroni, Treves, 1998);
Fase Neoalpina precoce: si ha la deposizione della Successione Epiligure all'interno di bacini, impostati al di sopra delle Liguridi durante l'accrezione del prisma orogenetico e connessi all'attivazione di sovrascorrimenti del basamento e/o a riattivazioni di sovrascorrimenti preesistenti. Tali bacini vengono descritti da diversi autori con differenti terminologie: thrust-top basin (Boccaletti e al., 1995, 1997; Boccaletti, Sani, 1998; Bonini e al., 1999; Finetti e al., 2001) o come  bacini di piggy-back (Ricci Lucchi, Ori, 1985; Bettelli e al., 1989c) (Oligocene inf. – Miocene inf.).
Fase Neoalpina tardiva: formazione delle principali strutture tettoniche fragili (tortoniano? – Messinaiano inf. – Plio-Quaternario) che tagliano anche la Successione Epiligure.
Vari modelli sono stati proposti per spiegare l'evoluzione tettonica della catena nord-appenninica dopo la prima fase collisionale:
  1. Un primo modello prevede una migrazione del fronte compressivo nelle zone esterne al quale si accompagna, nel settore interno, un regime estensionale che segue nel tempo e nello spazio lo shifting dei fronti compressivi (Merla, 1951; Boccaletti, Guazzone, 1974; Elter e al., 1975; Carmignani e al., 1980; Boccaletti e al., 1990; Patacca e al., 1990).
  2. Un secondo modello propone che il prisma di accrezione, ispessito dalla collisione crostale, tenda a collassare per recuperare le condizioni di equilibrio, sviluppando all'interno della catena strutture di tipo core complex; la catena nord-appenninica sarebbe quindi l'effetto di una tettonica gravitazionale tuttora attiva (Carmignani, Kligfield, 1990; Carmignani e al., 1994; Decandia e al., 1993; Carmignani e al., 1995; Betelli, Panini, 2002).
  3. Una terza ipotesi ritiene, al contrario, che la catena nord-appenninica sia l'espressione di fenomeni di estrusione crostale e litosferica, secondo modelli di deformazione plastico-rigida, legati all'interazione fra le placche Africana ed Eurasiatica, che attualmente convergono secondo una direzione circa NNW-SSE (Tapponnier, 1977; Boccaletti e al., 1982).
Per quanto riguarda la descrizione delle unità tettoniche presenti nel territorio della Regione Emilia-Romagna, e più specificatamente quelle inerenti all'area di studio, si fa riferimento a differenti studi di carattere geologico (Bettelli, Panini, 2002; Bettelli e al., 2002a; 2002b; Cerrina Feroni e al., 2002a; 2002b; Panini e al., 2002a; 2002b; Boccaletti e al., 2004a; 2004b) dove vengono descritte le principali unità tettoniche affioranti nell'area di studio:
  • Unità tettonica Ligure: sono rappresentate dalle unità alloctone costituite da successioni pelagiche deposte su crosta oceanica e di transizione del paleo-oceano Ligure-Piemontese tra il Cretaceo e l'Eocene medio (Liguri), le successioni pelagiche formatesi su crosta continentale assottigliata ai margini della placca dell'Adria tra il Cretaceo superiore e il Miocene inferiore (Subliguri e Unità Sestola-Vidiciatico) (Cerrina Feroni e al., 2002a; Bettelli, Panini, 2002).
  • Unità tettonica Epiligure: rappresentate dalla Successione Epiligure deposta in bacini satellite intrapenninici (thrust-top basin  o bacini di piggy-back),  in discordanza sulle unità Liguri, Subliguri e Sestola-Vidiciatico durante la migrazione verso est terminata nella parte alta del Pliocene inferiore. Trattandosi di depositi sintettonici, la Successione Epiligure è caratterizzata da rapide variazioni verticali delle facies e numerose unconformities e pertanto costituisce un ottimo riferimento stratigrafico per la datazione delle fasi tettoniche successive alla fase meso-alpina (Plesi e al., 2000; Cerrina Feroni e al., 2002; Bettelli, 1989a; 1989c; Bettelli, Panini, 2002;).
L'insieme di queste due unità è sovrascorso sulle unità toscane e umbro-marchigiano-romagnola dell'Appennino emiliano-romagnolo da ovest verso est prevalentemente durante le fasi mioceniche e infrapliocenica. Lo spessore della coltre alloctona non è omogenea ma risente dei sollevamenti dovuti all'attività delle strutture attive e recenti, in particolare di quelle profonde. La coltre alloctona è presente in quasi tutto il territorio emiliano e risulta assente in Romagna. Da differenti studi, l'assenza nel territorio romagnolo è da imputare all'attività prevalentemente trascorrente di strutture trasversali ("Linea del Sillaro" e la "Linea della Val Marecchia") che avrebbero permesso un maggiore avanzamento delle Liguridi nei settori in cui sono ancora oggi presenti (Ghelardoni, 1965; Bortolotti, 1966; Fazzini, Gelmini, 1982; Ricci Lucchi e al., 1982; Castellarin e al., 1985; Patacca,  Scandone, 1985; Castellarin, Pini, 1987), oppure ad un sollevamento differenziale dell'Appennino, che sarebbe iniziato prima nel settore romagnolo permettendo la completa erosione della coltre, la quale risulta preservata solo localmente, nelle zone di basso strutturale ("sinclinale di S. Piero in Bagno", Coltre della Val Marecchia) (Ten Haaf, 1985; Vai, 1988; Anelli e al., 1994; Cerrina Feroni e al., 1997, 2001, 2002).


Strutture tettoniche
L'area in studio è caratterizzata da un complesso assetto strutturale rappresentato nella Carta delle strutture tettoniche e nello schema strutturale (fig. 3), caratterizato dalla presenza di diversi sistemi di faglie di origine tettonica (Bettelli, Panini, 2002; Bettelli e al., 2002a; 2002b; Panini e al., 2002a; 2002b; Papani e al., 2002a; 2002b; Plesi e al., 2002a; 2002b; Severi e al., 2002a; 2002b; Balocchi, 2003; Boccaletti e al., 2004b).

Si possono suddividere in due gruppi in base alla direzione che mostrano alla scala macroscopica e da differenti studi alla scala mesoscopica:
  • Sistemi a direzione Antiappenninica è rappresentato da sistemi di faglie a direzione trasversale alla catena Appenninica (NE-SW)(Gelardoni, 1965;  Fazzini, Gelmini, 1982; Capitani, Sasso, 1994; Capitani, 1997; Bettelli, Panini, 2002; Balocchi, 2003; Bettelli, Panini, 2002).
  • Sistemi a direzione Appenninica è rappresentato da sistemi di faglie a direzione longitudinale alla catena Appenninica (NW-SE) (Capitani, Sasso, 1994; Capitani, 1997; Bettelli, Panini, 2002; Balocchi; 2003). Alla scala macroscopica,  da indagini di foto aeree e dal rilevamento di campagna, appare perlopiù tagliato dal precedente sistema (Balocchi, 2003).
La presenza di estese fasce cataclastiche con orientamento antiappenninico associate al sistema di faglie con questa stessa direzione, indica quasi sicuramente che questo deve essere il sistema di faglie principale e quello a direzione NW-SE è probabilmente un sistema subordinato al precedente (Balocchi, 2003) e sviluppato in tempi successivi.

Figura 3: Schema delle principali Srutture Tettoniche: 1) Principali faglie a direzione
appenninica; 2) Principali faglie a direzione antiappenninica; 3) Principali
sovrascorrimenti.

Le principali strutture tettoniche fragili presenti nella zona in studio possono essere suddivisi in base alla fase tettonica che le hanno generate (fig. 3):


Deformazione fragile della fase Ligure (Eocene medio)
Sono strutture tettoniche rappresentate da faglie di sovrascorrimento che si rinvengono lungo il T. Rossena (Bettelli e al., 1989a; 1989b; Bettelli e al., 2002a; 2002b; Bettelli, Panini, 2002; Gasperi e al., 2002a; 2002b) che vanno a formare una fascia di dislocazione a direzione appenninica che separa due unità tettoniche differenti (Unità tettonica Leo e Monghidoro affiorante nel blocco SW e Unità Tettonica Cassio affiorante nel blocco NE, entrambe appartenenti alle Liguridi)( Bettelli e al., 2002a; 2002b; Bettelli, Panini, 2002). Tale struttura di età Eocenica (Fase Ligure) è precedente alla deposizione della Successione Epiligure in quanto è in alcuni tratti parzialmente suturata da questa (Bettelli e al., 1989b; Bettelli e al., 2002a; 2002b), anche se potrebbe essere stata riattiva durante la deposizione della Successione Epiligure come indicano le diverse caratteristiche stratigrafiche dei due blocchi a SW e NE (Bettelli e al., 1989c; Bettelli e al., 2002a; 2002b). Altri sistemi di faglie inverse sono rappresentati da piani di sovrascorrimento a direzione prevalentemente appenninica (NW-SE) con inclinazione del piano di faglia ad alto angolo come quelle presenti nei pressi di Vergato (Panini e al., 2002a), che alla scala macroscopica sembra essere il proseguimento dei sovrascorrimenti presenti lungo la Val Rossenna che vengono dislocati dalla struttura del Fascio del Lavino con una separazione orizzontale sinistrorsa (Panini e al., 2002a; 2002b;).


Deformazione fragile tra l'Eocene medio ed il Miocene
In prossimità di Sestola e Fanano e lungo tutto il crinale appenninico sono affioranti le Unità Tettoniche appartenenti alle unità toscane lungo una fascia a direzione appenninica. Tali unità sono rappresentate da un'anticlinale (Reutter, 1969) delimitata a nord da un sovrascorrimento (Eocene medio-Miocene inf.), sulle unità liguri, a direzione appenninica che a sua volta, viene dislocato lateralmente da faglie verticali a direzione antiappenninica (faglie di strappo)(Bettelli e al., 2002a).

Deformazione fragile post Serravalliane a direzione appenninica

Il Fronte pedeappenninico costituisce il limite della catena appenninica affiorante, separandolo dalla catena sepolta al di sotto dei depositi mio-pliocenici e quaternari della Pianura Padana (Boccalletti e al., 1985). Tale lineamento (Castellarin e al., 1985) ha giocato un ruolo di struttura tettonica compressiva per tutta la sua storia evolutiva, ed è in discussione la sua presunta attività in tempi recenti. Altri sovrascorrimenti da attribuire al Fronte pedeappenninico, si rinvengono in corrispondenza di Savigno, Montepastore e M. San Pietro, dove sono strettamente collegate alla zona di taglio sinistrorsa del Lavino-Samoggia (Fascio del Lavino)(Capitani, 1997; Panini e al., 2002a; 2002b). I movimenti lungo questi piani sul fronte appenninico devono essere avvenuti in tempi compresi tra l Miocene sup.- Pliocene medio (Capitani, 1997; Panini, 2002a). Un'altra serie di faglie inverse e con piano immergente verso SW, sono quelle presenti a nord del Sistema di Serramazzoni (Gasperi e al., 2002a; 2002b). Tali strutture determinano la sovrapposizione  del substrato ligure e in alcuni casi delle epiliguri, ai terreni del miocene sup. appartenenti alla Successione Epiligure (Gasperi e al., 2002a). Questo sistema viene suturato dai depositi pliocenici, ma poco più a nord sono presenti limitate dislocazioni inverse con andamento parallelo al precedente e che interessano i depositi plio-quaternari (Gasperi e al., 2002a).

Il Fascio interno attualmente divide le unità toscane fortemente sollevate, affioranti nel blocco SW, dalle Liguridi relativamente ribassate e affioranti nel blocco NE. Inizialmente è stato interpretato come struttura compressiva nella fase ligure che ha portato all'accavallamento delle unità toscane sulle Liguridi, mentre attualmente è in discussione se rappresenti un piano di sovrascorrimento, oppure una grande faglia distensiva (Bettelli e al., 2002a; Panini e al., 2002a). Geometricamente è rappresentata da più superfici ad alto angolo e immergente vero NE, interpretata come faglia estensionale ad alto angolo (Bettelli e al., 2002a) oppure come superficie di sovrascorrimento ripiegata (Panini e al., 2002a). A supporto dell'interpretazione della struttura a cinematica distensiva vi è la considerazione che le unità Liguridi affioranti nel blocco NE del "fronte" sono spesso limitate a SW da faglie subverticali e parallele al Fronte Interno e localmente immergenti verso NE e quindi interpretabili come faglie distensive tardive e successive alla fase Ligure (Bettelli e al., 2002a; Panini e al., 2002a).

Il Fascio della Vall Rossenna rappresenta una paleostruttura ereditata dalla fase ligure con evidenze di attività anche in tempi successivi, sia durante la fase di deposizione della Successioe Epiligure sia successivamente (Bettelli e al., 2002a; Gasperi e al., 2002a; Panini e al., 2002a). Il Fascio comprende il Sistema del T. Rossenna, il Sistema di Iddiano, il Sistema di Materno, e viene rappresentata da due tipologie di faglie: da una faglia inversa che determina un parziale accavallamento dell'Unità tettonica Leo e/o Unità tettonica Monghidoro sull'Unità tettonica Cassio e da una faglia diretta ad alto angolo, successiva, e grossomodo parallela alla precedente che corre lungo il T. Rossenna, giustapponendo l'Unità tettonica Monghidoro affiorante nel blocco SW all'Unità tettonica Leo affiorante nel blocco NE. Lungo il medesimo allineamento, nel settore est dell'area di studio, tale sistema è costituito da faglie compressive post-serravalliane (Sistema di Maserno) a direzione appenninica, segmentate da faglie subverticali a direzione antiappenniniche  a cinematica trascorrente sinistrorse (Bettelli e al., 2002a; 2002b). Tale assetto strutturale porta al sollevamento dei terreni Liguri affioranti nel blocco SW, a contatto con i terreni epiliguri affioranti nei pressi di Montese (Bettelli e al., 2002a; 2002b).

Il Sistema di Serramazzoni (sistema di Alevara-Rodiano in Bettelli e al., 1989b; 1989c; Gasperi e al., 2002a) rappresenta una serie di dislocazioni che corre dalla valle del T. Pescarolo fino al F. Panoro a nord di Serramazzoni, mettendo a contatto la zona di alto strutturale di Serrammazoni-Coscogno, a sud, dove affiorano i terreni delle unità tettoniche Cassio e Coscogno, con la zona di basso strutturale, a nord, dove sono affioranti i terreni della Successione Epiligure. Dal punto di vista cinematico, in base ai rigetti verticali, il sistema può essere ricondotto a una faglia ad alto angolo inversa. Verso ovest il Sistema di Serramazzoni si interrompe contro a una serie di dislocazioni a direzione antiappenniniche (Sistema di M. Scisso e Sistema di Polinago), mentre verso est si interrompe in corrispondenza del Sistema di Lama. L'attività della struttura è da attribuirsi alla fase tettonica messiniana e probabilmente anche in tempi successivi, come mostrano alcune strutture plicative.

Il Sistema di Serra-S.Antonio costituisce il limite sud dell'alto strutturale di Serrammazoni. Geometricamente il sistema è costituito da faglie ad alto angolo che giustappongono le unità tettoniche di Cassio affioranti nel blocco nord, alle unità tettoniche Coscogno, affiorante nel blocco sud (Bettelli, Panini, 2002; Gasperi e al., 2002b).

Il Sistema Zocca-Riola costituisce le strutture tettoniche a direzione appenninica della placca Epiligure affiorante tra Zocca e Castel D'Aiano (Balocchi, 2003) e che mettono in contatto i medesimi terreni affioranti nel blocco NE e quelli Liguridi affioranti nel blocco SW tra Castel D'Aiano e Riola. Tale sistema è caratterizzato da un rigetto verticale relativamente forte determinando l'abbassamento del blocco sud-occidentale (Panini e al., 2002a; 2002b). Da analisi mesostrutturali si evince come tali sistemi possano avere giocato un doppio ruolo cinematico, prima come sistemi di faglie trascorrenti destre e coniugate al fascio del lavino trascorrente sinistro, e in tempi successivi per riattivazione come faglie distensive in senso N-S (Balocchi, 2003).

Il Sistema di Calvezzano-Grizzana rappresenta una struttura con un'estensione di oltre 20 km verso SE. E' limitata ad ovest dal Sistema di Tolè, mentre in direzione est prosegue fino al Sistema del Reno oltre il quale prosegue al di fuori dell'area di studio (Panini e al., 2002a; 2002b). Dal punto di vista cinematico il sistema è costituito da piani subverticali che determinano un abbassamento delle unità del blocco nord-orientale.

Deformazione fragile post Serravaliane a direzione antiappenninica

Il Fascio de M. Scisso (Bettelli, Panini e al., 2002; Gasperi e al., 2002a;) è una struttura composta da differenti dislocazioni che determina una forte frammentazione delle unità litostratigrafiche a volte ridotte a fere e proprie scaglie tettoniche (Gasperi e al., 2002a). Il tratto meridionale del fascio, produce una interferenza significativa con il Sistema della Val Rossenna, determinando un brusco spostamento e sdoppiamento di quest'ultimo. Il rigetto apparente del Fascio di M. Scisso è di un probabile abbassamento del blocco occidentale. Più a nord si ha l'interferenza con i sistemi di faglie inverse a direzione appenninica, per le quali potrebbe rappresentare una sorta di rampa laterale. In questo settore il rigetto apparente si inverte, determinando un abbassamento del blocco orientale. Nei pressi di Sassuolo, il Fascio di M. Scisso sembra dislocare i terreni delle unità quaternarie locali. Anche in questo settore il rigetto verticale apparente mostra un generale abbassamento del settore orientale (Gasperi e al., 2002a). A sud tale sistema prosegue nel Sistema del T. Dragone che alla scala macroscopica è rappresentato da faglie subverticali a  direzione appenninica (Bettelli, Panini, 2002).

Il Fascio dello Scoltenna (Bettelli e al., 1989a; 1989b; Bettelli e al., 2002a; 2002b; Gasperi e al., 2002a) è formato dal Sistema del T. Selva, il Sistema di Lama, il Sistema del T. Scotenna, e si trova sul prolungamento della linea di Pievepelago (Bettelli, Panini, 2002) che secondo alcuni autori sarebbe riconoscibile a partire dal crinale appenninico, dove avrebbe l'effetto di ribassare il blocco occidentale e contemporaneamente di provocare un rigetto orizzontale sinistro di alcuni chilometri (Guenthher, Reutter, 1985). In corrispondenza della Santona, tale sistema taglia il Fascio interno ad andamento appenninico. Il sistema taglia la Successione Epiligure affiorante a Pavullo, dove il rigetto apparente sembra invertirsi, mostrando un forte ribassamento dei terreni ad est della struttura. Il lineamento continua a nord fino al rio Benedello con il ribassamento del blocco SE (Bettelli e al., 2002a; 2002b), fino al margine appenninico, dove viene sigillata dai sedimenti di età pliocenica. L'attività della struttura è prevalentemente pre-pliocenica e comunque non più antica del Messiniano (Gasperi e al., 2002a; 2002b). Alla scala regionale il Fascio dello Scoltenna determina una netta differenziazione tra il blocco occidentale relativamente sollevato ed uno orientale nel quale è conservata buona parte della Successione Epiligure (Gasperi e al., 2002a; 2002b).

Il Fascio del Lavino (Capitani, 1997; Bettelli e al., 2002a; 2002b) è una struttura complessa che presenta le caratteristiche di una fascia di deformazione trascorrente/traspressione sinistra e localmente riattivata in tempi sucessivi come faglia distensiva (Capitani, 1997, Balocchi, 2003). La sua estensione è di circa 25-30 km in direzione antiappenninica (NE-SW) e uno spessore di circa 8 km. Tale fascio comprende al suo interno diversi sistemi a direzione antiappenninica denominati: Sistema di Montese, Sistema di Montese-Zocca, Sistema di Montese-Castel D'Aiano, Sistema di Montepastore, Sistema Samoggia-Savigno, Sistema del Lavino. Compare a partire dal fondovalle del T. Dardagna (Sistema di Montese) dove viene messo in evidenza dal brusco arretramento delle Unità Toscane affioranti nel blocco Est con un rigetto apparente destrorso (Bettelli e al., 2002a). In prossimità di Maserno il Fascio del Lavino si estende fino a congiungersi con il Fascio della Val Rossenna. Il Fascio prosegue a nord (Sistema di Montese-Zocca, Sistema Montese-Castel D'Aiano) bordando e tagliando la Successione Epiligure affiorante tra Zocca e Castel D'Aiano (Balocchi, 2003) e all'altezza dell'allinemanto Zocca-Rosola-Semelano (Balocchi, 2003), separa le unità Epiliguri affioranti nell'area Zocca-Montese da quelle affioranti nella piccola placca di Rocca Malatina (Bettelli e al., 2002a; 2002b; Balocchi, 2003). Da indagini mesostrutturali condotte da differenti ricercatori, il Fascio del Lavino rappresenta una struttura subverticale a cinematica trascorrente sinistrorsa e traspressiva nei pressi di M. San Pietro (Ricci Lucchi e al., 1982; Bartolini e al., 1982a; 1982b; Capitani 1997) e per i Sistemi di Montese-Zocca e Montese-Castel D'Aiano, si presentano con piani subverticali anche essi a direzione antiappenninica e  cinematica trascorrente sinistra e successiva fase distensiva per riattivazione dei preesistenti piani di taglio (Balocchi, 2003). L'intervallo cronologico nel quale la zona di taglio ha prodotto i massimi effetti può essere compreso tra il Messiniano ed il Pliocene inferiore.

Il Sistema del Reno (Panini e al., 2002a; 2002b) porta al sollevamento del blocco orientale e mette in contatto le formazioni mioceniche della Successione Epiligure alle Liguridi. Dati mesostrutturali in affioramenti nei pressi di Veggio hanno mostrato faglie a direzione antiappenninica con prevalente elementi che indicano cinematiche di tipo trascorrente con piccoli rigetti apparenti di tipo normale (Panini e al., 2002a).

Il Sistema di Vergato è costituito da una serie di dislocazioni associate al Sistema del Reno dove confluisce più a Nord in prossimità di Pioppe di Salvaro. In prossimità di Vergato si possono notare gli effetti più vistosi dove alla Formazione di Pantano affiorante in sinistra Reno, si giustappongono le Argille a Palombini dell'Unità tettonica Leo (Unità liguri), apparentemente sollevate e traslate a NE (Panini e al., 2002a; 2002b).


Sismologia
Lo studio sulla sismicità  rappresenta uno strumento indispensabile per le analisi sismotettoniche, ed è un utile supporto alla geologia strutturale, in quanto i dati sismici forniscono indicazioni molto importanti al fine di identificare e caratterizzare le strutture geologicamente attive.
Con il termine di "dati sismici", si intende tutto l'insieme delle informazioni disponibili sui terremoti avvenuti in passato, ottenute secondo metodi di analisi di tipo sia strumentale che non (Boccalletti e al., 2004a).
I dati strumentali consistono nella registrazione del moto del terreno dalle quali è possibile ricavare l'ipocentro (in termini di latitudine, longitudine, profondità), così come la dimensione (in termini di magnitudo o momento sismico) e la tipologia del meccanismo del terremoto (in termini di parametri di faglia o di tensore momento). I dati non strumentali, invece, consistono essenzialmente in informazioni sulla distribuzione spaziale degli effetti indotti dal terremoto sulle persone, sulle cose e sull'ambiente, dalle quali, attraverso la codifica di una scala macrosimica, è possibile ricavare la localizzazione, la magnitudo equivalente, le dimensioni fisiche ed anche l'orientazione della struttura sismogenetiche.
Per descrivere la sismicità dell'area oggetto dello studio si è fatto riferimento ai cataloghi disponibili in letteratura:
  • "Catalogo Parametrico dei terremoti Italiani" (CPTI; Gruppo di lavoro CPTI, 2004);
  • "Catalogo Strumentale dei Terremoti Italiani" (CSTI; Gruppo di Lavoro Catalogo Strumentale, 2005)
  • "Catalago ISIDe" dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV, 2010).
I dati simici sono stati  integrati e confrontati con i dati descritti in alcuni cataloghi dei terremoti (Postpischl, 1985; Boschi e al., 1997; Camassi, Stucchi, 1997; Monachesi, Stucchi, 1997; Gruppo di lavoro CPTI, 1999) e in alcuni studi di carattere sismotettonico (Elmi, Zecchi, 1974; Boccaletti e al., 2004a). Successivamente è stato realizzato un database degli eventi sismici inerenti all'area, dove vengono descritti i parametri fondamentali di un terremoto: coordinate epicentrali (latitudine e longitudine, profondità), magnitudo, data, ora, fonte bibliografica (Zecchi, 1980).
I soli parametri ipocentrali non forniscono informazioni utili sulla natura della struttura sismogenetica associata al terremoto. Per ricavare tali parametri (orientamento del piano di faglia, cinematica e lo stato di tensione in termini di direzione dell'ellissoide dello stress) è necessario ricorrere ai meccanismi focali ricavati dai dati del'European-Mediterranean Regional Centroid Moment Tensors (RCMT) (Braunmiller e al., 2002; Pondrelli e al., 2002; 2004; 2006; 2007) e da bibliografia (Eva, Solarino, 1992). I meccanismi focali sono rappresentati da una "sfera focale" che mostrano le tracce dei due piani nodali (quello principale e quello ausiliario) e le due aree di compressione (area di colore bianco che indica la zona dove ricade l'asse di compressione P) e quelle di tensione (area di colore rosso che indica la zona dove ricade l'asse di tensione T).

Nella Carta degli eventi sismici sono rappresentati gli epicentri con magnitudo tra 1 e 6 inerente all'area studiata. Ogni evento è rappresentato con un opportuno simbolo inerente alla classe di appartenenza:
  1. terremoti con magnitudo compresa tra 0 e 2;
  2. terremoti con magnitudo compresa tra 2 e 3;
  3. terremoti con magnitudo compresa tra 3 e 5;
  4. terremoti con magnitudo uguale o superiore a 5.
Inoltre sono stati riportati i meccanismi focali, rappresentati attraverso una opportuna rappresentazione grafica detta "sfere focale" che utilizza una proiezione stereografica equiareale nell'emisfero superiore.

Figura 4: Grafico della distribuzione temporale degli eventi sismici.

La distribuzione temporale degli eventi sismici per l'area studiata (fig. 4) mostra una certa discontinuità degli eventi sismici per gli anni precedenti al 1981 e con maggiore continuità negli anni successivi. Per gli anni precedenti al 1981 si evidenziano due aree con magnitudo media di 5,5 dal 1400 al 1500 e una magnitudo intorno ai 5,0 dal 1800 al 1981, mentre per gli anni successivi al 1981 sono presenti eventi sismici con buona continuità nella scala della magnitudo (eventi compresi da 0,5 a 4,0) e solo un evento superiore alla magnitudo di 4,0 e comunque sempre minori di 5,0.
Questa differenza tra eventi sismici precedenti al 1981 e successivi, è dovuta alla mancanza di notizie bibliografiche relative agli eventi sismici di minore intensità (Elmi, Zecchi, 1974; Zecchi, 1980), così come il gap sismico intorno all'anno 2000.

Dalla Carta degli eventi sismici (magnitudo e profondità) è possibile trarre delle considerazioni sulla distribuzione spaziale degli epicentri, descrivendo l'area come abbastanza omogenea e con una zone nel fondovalle F. Panaro di massima concentrazione (la maggior parte degli eventi è rappresentata da terremoti superficiali; fig. 5). Alla scala regionale la distribuzione degli epicentri avviene secondo due principali allineamenti che ricalcano la direzione appenninica e quella antiappenninica delle principali strutture tettoniche, soprattutto per gli eventi superficiali che più approssimano la direzione delle strutturre cartografabili (fig. 5)(confronto tra le Carta delle strutture tettoniche e la Carta degli eventi sismici). Anche da studi condotti in aree di minore estensione, viene conservato il medesimo "stile sismotettonico", cioè la stessa relazione spaziale tra distribuzione spaziale degli eventi sismici e strutture tettoniche (Balocchi, 2003).
Negli schemi a corredo della Carta degli eventi sismici della profondità, sono stati suddivisi tutti gli eventi sismici per intervalli di profondità, utilizzando la seguente classificazione:
  • Eventi sismici con profondità minore di 10 km (fig. 5);
  • Eventi sismici con profondità da 10 a 25 km (fig. 6);
  • Eventi sismici con profondità da 25 a 35 km (fig. 7);
  • Eventi sismici con profondità maggiore di 35 km (fig. 8);

    Figura 5: Schema degli eventi sismici con profondità minore di 10 km.

Figura 6: Schema degli eventi sismici con profondità compresa da 10 a 25 km.

Figura 7: Schema degli eventi sismici con profondità compresa tra 25 e 35 km.
Figura 8: Schema degli eventi sismici con profondità maggiore di 35 km.

Gli eventi riportati in ogni schema sono ulteriormente suddivisi in classi con un simbolo e colore appropriato a seconda della magnitudo (per la classificazione della magnitudo si fa riferimento a quella descritta in precedenza) e messi in relazione alle principali strutture tettoniche. La distribuzione areale degli epicentri è più densa nella classe di profondità dai 10 ai 25 km (fig. 6) rispetto alla altre profondità.

I dati strumentali ricadenti entro la fascia est dell'area studiata sono proiettati lungo la sezione geologica proposta da Boccaletti e al. (2004). Ogni terremoto è stato rappresentato con un cerchio proporzionale alla magnitudo, mentre la profondità ipocentrale corrisponde al centro del cerchio.

Dalle sezioni sismotettoniche (fig. 9) è possibile ricavare informazioni molto utili sui rapporti tra strutture tettoniche profonde ed eventi sismici. Gli ipocentri presentano una frequenza maggiore alla profondità di 10 km concentrandosi in corrispondenza di una superficie orizzontale. Altri allineamenti secondo delle superfici con immersione verso SW, e con inclinazioni molto maggiore. Tale assetto simologico ricalca con buona affidabilità le strutture descritte nella sezione geologica (Boccaletti e al., 2004) che possono essere classificate come strutture di duplicazione da sovrascorrimento (Duplex Thrust)(Davis, Reynolds, 1996).

Figura 9: Sezione sismotettonica (modificato da: Boccaletti e al., 2004)

Campi di sforzi tettonici
Dalla carta della zonazione sismogenetica nazionale ZS4 e ZS9 (Scandone e al., 1990; Meletti, 1996; Scandone e al., 1999; Meletti e al., 2000; Meletti e al., 2004; Stucchi e al., 2004), l'area dell'Appennino settentrionale viene suddiviso in zone (fig.10) con particolari caratteristiche sismogenetiche (Montone, 1997; Montone e al., 1999; Montone, Mariucci, 1999; Burrato e al., 2003):
Zona 912: Rappresenta la fascia più esterna dell'edificio appenninico che racchiude al suo interno il fronte dell'Appennino modenese. Il regime degli stress tettonici è compressivo con meccanismi da faglie di sovrascorrimento a direzione appenninica, associate a faglie trascorrenti con direzione antiappenninica; 
Zona 913 e 914: Fascia a sviluppo longitudinale che racchiude il medio e basso Appennino modenese. Il regime di stress tettonico è variabile da compressivo nella porzione NW a distensivo nella porzione SE delle due zone. I meccanismi di rottura sono rappresentati da faglie inverse a direzione appenninica associati a faglie trascorrenti a direzione antiappenninica che dissecano la continuità delle strutture longitudinali. Il limite tra le due zone 913 e 914 è rappresentato da una struttura alla macroscala che accomoda la differente deformazione fragile dei due blocchi posti rispettivamente ad ovest per il blocco rappresentato dalla zona 913 e ad est per il blocco rappresentato dalla zona 914. Tale macrostruttura alla mesoscala deve essere rappresentata da una serie di faglie che tagliano la porzione di catena appenninica dalla zona di crinale fino al fronte appenninico.
Zona 915: Fascia a sviluppo longitudinale che racchiude al suo interno l'alto Appennino modenese. Il regime degli stress tettonici è distensivo con meccanismi da faglie dirette longitudinali alla catena e che mostrano una buona continuità.

Figura 10: Zonazione sismogenetica ZS9 (da: Meletti e al., 2004).

La determinazione dei campi di stress attivi e recenti in Emilia-Romagna è possibile grazie all'integrazione tra dati derivati dal rilevamento strutturale dei terreni quaternari affioranti lungo il margine appenninico-padano e dati di deformazione attuali relativi alla deformazione di pozzi (Boccaletti e al., 2004). Le direzioni di massimo stress orizzontale raffigurate nello schema (fig. 11) sono basate sull'analisi di deformazioni di pozzi per ricerca di idrocarburi (Mariucci e al., 1999).
I terreni affioranti sul fronte della catena appenninica e con età Pleistocenica, sono rappresentati dalle Sabbie gialle, dalle Sabbie di Imola, dalle alluvioni del Sintema Emiliano-Romagnolo. Tali unità mostrano una diffusa deformazione plicativa alla scala cartografica e frequenti strutture mesoscopiche quali faglie di sovrascorrimento e dirette, pieghe e sistemi di joints (Bernini, Papani, 1987; Gasperi e al., 1987; Ghiselli, Martelli, 1997; Boccaletti e al., 2004).
Anche i terreni più antichi del Sintema Emiliano-Romagnolo Inferiore, localmente si presentano tiltati (Boccaletti e al., 2004). Sono invece presenti faglie e numerosi sistemi di joints (Ghiselli, Martelli, 1997) e strie stilolitiche su ciottoli calcarei.
I principali affioramenti di sabbie marine pleistoceniche e depositi alluvionali con deformazioni evidenti sono localizzati lungo il margine, negli alvei dei fiumi Enza, Secchia, Tiepido, Panaro e Reno; in particolare lungo il margine tra Sassuolo e Scandiano e a Casalecchio di Reno sono stati rilevati depositi marini e continentali del Pleistocene medio verticalizzati e rovesciati (Boccaletti e al., 2004).

Per quello che riguarda il settore del basso e medio Appennino modenese, sono state studiate le mesofaglie dei terreni eocenici della Successione Epiligure (Capitani, Sasso, 1994; Capitani, 1997; Balocchi, 2003).
L'analisi strutturale delle principali strutture mesoscopiche localizzate lungo il fronte appenninico e in corrispondenza della catena appenninica, ha permesso di definire la direzione dei paleostress. Boccaletti e al., (2004) ha individuato diversi settori del margine appenninico dell'Emilia – Romagna, caratterizzati da diversi regimi di stress e da diversi gradi di deformazione (Ghiselli, Martelli, 1997). Lo studio mette in evidenza un settore maggiormente deformato localizzato tra Parma e Bologna (dove ricade l'area di studio), e dove prevalgono campi di stress prevalentemente compressivi con direzione dell'asse di massima compressione variabile da NW-SE a NE-SW (fig. 11)(Boccaletti e al., 2004). Tale variabilità sul fronte appenninico è spiegabile con la geometria ad arco dei thrusts attivi che dislocano il margine (Boccaletti e al., 2004), mentre nella porzione di catena è da imputare alla probabile rotazione esterna dell'ellissoide della deformazione al progredire della deformazione in condizioni di shear–zone, localizzata in corrispondenza delle principali strutture tettoniche a direzione antiappenninica (Balocchi, 2003).

Figura 11: Campi di paleostress e stress attuali (da: Boccalletti e al., 2004).


Sismotettonica e Zone Sismogenetiche dell'area di studio
Nella Carta sismotettonica vengono messe in relazione le strutture tettoniche cartografate nell'area di studio e la distribuzione degli epicentri con profondità inferiore ai 10 km. Viene scelta come profondità il limite massimo dei 10 km perché si tratta di eventi superficiali e quindi più facilmente geneticamente correlabili alle strutture tettoniche che presentano una espressione superficiale sia di tipo geologico sia geomorfologico ("faglie capaci"; Vittori e al., 1998; Michetti e al., 2000) e inoltre perché dai dati sismologici si è riscontrata la presenza di una discontinuità tettonica di interesse regionale che divide la litosfera in un blocco più superficiale e uno più profondo.
Allo scopo di determinare le strutture sismogenetiche (quelle strutture tettoniche che hanno generato un terremoto) descritte nella Carta sismotettonica è stato utilizzato un approccio sismotettonico, ossia la relazione tra la distribuzione degli epicentri e le strutture tettoniche:
  • Relazione di reciproca vicinanza tra struttura tettonica ed evento sismico, considerando le strutture sismogenetiche quelle più vicine ad uno o più eventi sismici;
  • Allineamento di due o più epicentri in corrispondenza di una struttura tettonica;
Lo studio dei dati inerenti ai paleostress, ricavati da alcuni studi di carattere mesostrutturale (Capitani, Sasso, 1994; Capitani, 1997; Balocchi, 2003), dai dati ricavati dai meccanismi focali di alcuni eventi sismici (RCMT) (Braunmiller e al., 2002; Pondrelli e al., 2002; 2004; 2006; 2007) e dalla bibliografia (Eva, Solarino, 1992; Boccaletti e al., 2004) ha consentito di ricavare l'orientazione dello stress tettonico (direzione di massima compressione e  di massima estensione) che risulta diverso a seconda della località. L'area viene così divisa in tre zone sismogenetiche che mostrano regimi tettonici e meccanismi di rottura differenti. Le tre zone sono distribuite secondo fascie a direzione longitudinale rispetto l'asse della catena appenninica, risultando in accordo a quanto esposto nella carta sismogenetica nazionale ZS9 (Scandone e al., 1990; Meletti, 1996; Montone, 1997; Montone e al., 1999; Montone, Mariucci, 1999; Scandone e al., 1999; Meletti e al., 2000; Burrato e al., 2003; Meletti e al., 2004; Stucchi e al., 2004):
  • Zona A: o "zona del fronte appenninico": attualmente è in compressione. I meccanismi di rottura sono rappresentati da thrusts con direzione variabile dell'asse di massima compressione. Tale variabilità, come esposto in precedenza, è da imputare alla geometria ad arco dei thrusts attivi che dislocano il margine (fig.11, Boccaletti e al., 2004). Localmente vengono segmentati da faglie trascorrenti con piano verticale e direzione antiappenninica.
  • Zona B: o "zona del basso e medio Appenino": è la zona più incerta sul piano sismogenetico (Scandone e al., 1990; Meletti, 1996; Montone, 1997; Montone e al., 1999; Montone, Mariucci, 1999; Scandone e al., 1999; Meletti e al., 2000; Burrato e al., 2003; Meletti e al., 2004; Stucchi e al., 2004). Viene ulteriormente suddivisa in due sottozone; Sottozona B1: in compressione con una direzione massima variabile e compresa tra N–S e NW–SE. Tale assetto è da imputare secondo alcuni autori a un regime tettonico locale (Fesce, Pini, 1987; Perotti, Vercesi, 1991) oppure secondo Balocchi (2003) alla probabile rotazione esterna dell'ellissoide della deformazione al progredire della deformazione in condizioni di shear–zone, localizzata in corrispondenza delle principali strutture tettoniche a direzione antiappenninica. I meccanismi di rottura sono rappresentati da faglie trascorrenti sinistre a direzione antiappenninica, associate a faglie trascorrenti destre a direzione antiappenninica, entrambe compatibili con la stessa direzione di massima compressione (Balocchi, 2003). In altri casi si possono avere faglie di thrust associate a faglie trascorrenti (zona di traspressione); Sottozona B2: in distensione con una direzione massima compressione variabile da NNE–SSW a NE–SW. I meccanismi di rottura sono rappresentati da faglie dirette a direzione appenninica e con piano ad alto angolo. Localmente sono segmentate da faglie trascorrenti a direzione antiappenninica con piano verticale che giocano come faglie di strappo per accomodare la deformazione differente nei due blocchi affiancati. Il limite tra le due sottozone B1 e B2 è rappresentata da un fascio di dislocazione che comprende differenti strutture tettoniche: il Sistema del T.Scoltenna, Sistema di Pavullo, Sistema di Gaiato-Vergato, Sistema del Panaro e la parte settentrionale del Fascio del Lavino (Sistema Montese-Zocca Sistema Samoggia-Savigno, Sistema di Montepastore) fino al fronte appenninico. Nell'area SE il limite tra le due zone è rappresentata dal Sistema del Reno. Nella zona di Zocca Castel D'Aiano gli eventi compressivi con sviluppo di sistemi di faglie trascorrenti sinistre coniugate a faglie trascorrenti destre, sono precedenti a quelli distensivi per riattivazione dei precedenti sistemi di falie con movimento diretto (Balocchi, 2003). Nella sottozona B2 potrebbe essere attualmente in regime di estensione dopo una fase di compressione e pertanto le strutture precedentemente con cinematica compressiva, a causa della variazione del regime tettonico si sono riattivate secondo una cinematica distensiva.
  • Zona C: o "zona dell'alto Appennino" o "zona di catena appenninica": attualmente è in distensione con una direzione NE-SW. I meccanismi di rottura sono rappresentati da faglie dirette a direzione appenninica e con piano ad alto angolo e immergente verso NE. Localmente vengono segmentate da faglie trascorrenti con piano verticale e direzione antiappenninica (Bettelli, Panini, 2002).

Attraverso le considerazioni riportate sopra, sono state cartografate e classificate le strutture tettoniche, nel seguente modo:
  • Strutture Tettoniche Sismogenetiche Attive: Sono quelle strutture che mostrano una diretta relazione di reciproca vicinanza ad uno o più epicentri, e/o mostrano una relazione di reciproca vicinanza ad uno o più allineamenti di epicentri; Tali strutture rispetto al campo dello sforzo tettonico regionale attuale sono da considerarsi attive.
  • Strutture Tettoniche Sismogenetiche Probabilmente Attive, non Attive: Sono quelle strutture che non mostrano una diretta relazione di reciproca vicinanza ad uno o più epicentri, e/o non mostrano una relazione di reciproca vicinanza ad uno o più allineamenti di epicentri; Tali strutture rispetto al campo dello sforzo tettonico regionale attuale sono da considerarsi probabilmente attive o non attive.
Per quello che riguarda gli eventi sismici profondi (fig.9), è stata messa in evidenza una "superficie efficace", vale a dire quella profondità alla quale avviene il maggior numero di terremoti (Meletti e al., 2004; Stucchi e al., 2004) alla profondità di 10 km. Tale superficie è stata localizzata sulla base della frequenza di ipocentri in funzione della profondità e rappresenta la struttura sismogenetica attualmente attiva di maggiore rilevanza di tutta l'area studiata.

Sono presenti anche altri allineamenti lungo delle superfici con immersione SW e con inclinazioni maggiore, rispetto la superficie precedente.
La "superficie efficace" mostra una estensione che copre con buona approssimazione tutta l'area di studio. La sua geometria suborizzontale può essere interpretata come superficie di scollamento basale (thrust di letto) che accomoda la deformazione dei differenti blocchi di Duplex Thrusts, anch'essi delimitati dalle faglie minori ad alto angolo e con immersione SW (fig.9).
Tale "superficie efficace" rappresenta una superficie di discontinuità che deve essere considerata come struttura tettonica sismogenetica attive rispetto al campo di sforzi tettonico regionale attuale.

Conclusioni
Dal seguente studio di carattere sismologico e tettonico è stato possibile definire quanto segue:
  1. Dalla distribuzione degli epicentri inerente agli eventi sismici (Carta degli eventi sismici), l'area è da considerarsi sismicamente attiva, a partire dal 1399 (dalla bibliografia non sono stati riscontrati eventi precedenti). In media gli eventi sismici a partire dagli anni 1980 non superano il magnitudo 5,0;
  2. Attraverso la relazione tra la distribuzione degli eventi sismici più superficiali e le strutture tettoniche cartografate, in funzione della relazione di reciproca vicinanza tra epicentro e struttura e degli allineamenti di epicentri alle strutture tettoniche, si sono definite le strutture attive e quindi in grado di generare un evento sismico e quelle non attive e quindi che non sono in grado di generare un evento sismico;
  3. Attraverso lo studio dei meccanismi focali e dei paleostress (da studi mesostrutturali) l'area è stata divisa in tre zone sismogenetiche che è in accordo a quella nazionale ZS9 (Meletti e al., 2004; Stucchi e al., 2004). Le tre zone sismogenetiche rappresentano la risposta locale della litosfera con differenti meccanismi di rottura in relazione al diverso orientamento del regime tettonico.
  4. Sulla base dei dati sismici è stato possibile individuare una importante struttura sismogenetica localizzata alla profondità di 10 km e classificarla come "superficie efficace" (Meletti e al., 2004; Stucchi e al., 2004) che con maggiore probabilità è quella in grado di generare il numero maggiore di eventi sismici.
In relazione ai punti descritti sopra si sono definite le strutture come Strutture Tettoniche Sismogenetiche Attive e Strutture Tettoniche Sismogenetiche Probabilmente Attive, non Attive in riferimento alla direzione dello stress tettonico alla scala regionale attuale.
Non è stata fatta una distinzione tra probabilmente attivo e non attivo, perché sotto condizioni di forte stress tettonico anche le strutture non attive possono subire una riattivazione con meccanismi di rottura differenti da quelli attuali (come ipotizato precedentemente per la sottozona B2). Pertanto ogni faglia anche considerata non attiva potrebbe diventare una sorgente sismica in condizione di forte stress tettonico per riattivazione. Nel caso dell'Appennino modenese, non si ha una sismicità con intesa magnitudo, pertanto il seguente studio considera la riattivazione delle sole strutture descritte come attive e l'eventuale possibilità di una riattivazione delle strutture descritte come potenzialmente attive/non attive nel caso di un aumento dello sforzo tettonico.
Qualora l'orientazione dello sforzo tettonico regionale dovesse mutare, anche le considerazioni sull'attività e non attività delle strutture tettoniche dovrà cambiare in funzione al nuovo regime di stress. Infatti la distribuzione delle strutture tettoniche e la loro cinematica è direttamente connessa al modello tettonico dell'Appennino settentrionale.
Un ultima considerazione da farsi è relativa alla formazione di nuove strutture tettoniche, che potrà essere possibile in relazione alla direzione dello sforzo tettonico e alla sua intensità. Non è possibile definire le strutture di neoformazione, ma solo quelle esistenti in grado di attivarsi sotto opportune condizioni di stress tettonico.

Bibliografia
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