domenica 15 novembre 2015

1783 – La grande crisi sismica calabrese: 5 terremoti in 50 giorni

Nel 1783, tra i primi di febbraio e la fine di marzo, la Calabria centro-meridionale è interessata da una terribile sequenza sismica con cinque scosse di intensità molto alta, la cui magnitudo, valutata dalle analisi macrosismiche, è prossima o superiore a 6.0. La sequenza colpisce in rapida successione la parte di territorio che va dallo Stretto di Messina a Catanzaro, generando un disastro di grandi proporzioni. Interi paesi sono letteralmente rasi al suolo, con decine di migliaia di vittime, e il paesaggio subisce trasformazioni importanti, con numerose frane, variazioni del reticolo idrografico e fenomeni di liquefazione del suolo. In particolare il paese di Scilla, situato all'imbocco settentrionale dello Stretto di Messina, è l'emblema di questa tragedia: già seriamente danneggiato dalle scosse sismiche, viene colpito da un’onda anomala causata da un'enorme frana che scivola in mare ed invade la spiaggia di Marina Grande, dove si erano rifugiati gli incauti abitanti. La sequenza sismica, che andrà avanti per circa un anno con terremoti di decrescente intensità, è di particolare rilevanza ai fini della difesa del territorio, in quanto pone attenzione sul problema del rischio sismico, soprattutto in presenza di sequenze estese su lunghi periodi, mettendo a dura prova la resistenza degli edifici soggetti a ripetuti forti scuotimenti del suolo.  

di: Giampiero Petrucci(1) e Stefano Carlino(2)


(1) Ricercatore del GeoResearch Center Italy – GeoBlog (sito internet: www.georcit.blogspot.com; mail: dottgipe@gmail.com).
(2) Geofisico dell’Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia e collaboratore del GeoResearch Center Italy – GeoBlog;
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GeoResearch Center Italy - GeoBlog, 14 (2015), ISSN: 2240-7847.

Figura 1: La diffusione delle intensità macrosismiche 
stimate nella scossa del 5 febbraio 1783. L'epicentro, 
tra Sinopoli ed Oppido M., è indicato dall'asterisco 
bianco (da: www.emidius.mi.ingv.it). 
Quanto accade in Calabria tra i primi di febbraio e la fine di marzo del 1783 non ha precedenti nella storia delle catastrofi italiane. Una serie di forti terremoti, seguiti da eventi franosi e da un’onda anomala, devastano un’intera regione, cambiando in diversi casi l’assetto morfologico di numerosi paesi e di ampie fasce di territorio. Una tragedia immane che colpisce una zona già economicamente arretrata, sotto il Regno delle Due Sicilie, con un sistema agrario di stampo semi-feudale, che si risolleverà con moltissima fatica e con i tempi lunghi che spesso caratterizzano il Meridione d’Italia.
Il primo terremoto si verifica intorno a mezzogiorno del 5 febbraio 1783, con una magnitudo macrosismica valutata intorno a 7.0, ed epicentro in Aspromonte, nei pressi di Oppido Mamertina (fig. 1). Il sisma, ben avvertito in Sicilia e in tutto il Meridione, colpisce in particolare la piana di Gioia Tauro e a Messina causa un vasto incendio che miete molte vittime. Tra i paesi più danneggiati, oltre ad Oppido, si annoverano Casalnuovo (oggi Cittanova) e Santa Cristina, mentre l’area compresa tra quest’ultima cittadina e Molochio viene invasa da una gigantesca frana, che forma una sorta di diga nella preesistente valle, con la formazione di alcuni piccoli laghi. Numerose lesioni e vittime si registrano anche sul litorale tirrenico, sulla Costa Viola, da Palmi a Scilla. Da relazionarsi all’evento tellurico è la formazione di un’onda anomala che colpisce con violenza sia la costa siciliana lungo lo Stretto, tra Messina e Capo Peloro, che quella calabrese, tra Cenidio e Scilla. A Messina il mare invade il porto e i viali costieri, mentre a Capo Peloro raggiunge i due piccoli laghi, distrugge parzialmente il faro e genera una forte erosione della spiaggia. A Reggio Calabria le acque invadono il litorale, a Scilla l’intera Marina Grande è ricoperta dalle onde, mentre a Chianalea il livello marino si alza di circa due metri. Effetti del maremoto sono segnalati anche più a Nord, a Joppolo il mare si ritira, a Nicotera si registrano onde anomale, e perfino nello Jonio, da Bianco a Roccella, dove diverse barche vengono trascinate sulla terraferma e il mare penetra per quasi un chilometro nell’entroterra. Circa ventimila persone perdono la vita sia per gli effetti dei crolli che del maremoto.
  
Figura 2: Visione 3d dell'enorme movimento franoso che nella notte tra il 5 e 6 febbraio 1783 causa un grande tsunami a Scilla. La massa detritica, i cui resti sono stati individuati sul fondale marino, scende in mare dal Monte Pacì e provoca onde alte fino a 8-10 metri che invadono la spiaggia di Marina Grande, provocando circa 1500 vittime (da: Mazzanti, Bozzano, 2011).
Nella notte seguente un altro sisma, di magnitudo macrosismica intorno a 6.5, con epicentro sulla costa di Villa S. Giovanni, scuote la zona dello Stretto. Ingenti danni si registrano a Messina e Scilla. Quest’ultimo paese, già duramente colpito dal precedente terremoto, è in gran parte distrutto, con i crolli parziali delle principali chiese e del castello e con numerose frane che si verificano nelle valli dei torrenti Oliveto e Livorno. Gli scillesi sopravvissuti alla catastrofe, in tutto circa duemila, si accampano lontano dagli edifici, in ripari di fortuna, sulla spiaggia di Marina Grande, sotto le barche rovesciate o in tende. Le due scosse sismiche hanno però generato l’instabilità dei versanti montuosi circostanti, cosicché poco dopo un'enorme frana, con un fronte di circa 500 metri e un volume di alcuni milioni di metri cubi, si distacca dal Monte Pacì, il rilievo che chiude la baia di Scilla a sud, scivolando precipitosamente in mare (fig. 2). In pochi istanti, come conseguenza dello scivolamento in acqua di
Figura 3: L'ingressione marina (I) ed il run-up (R), ovvero 
l'altezza delle onde, espressi in metri, dello tsunami che 
colpì Scilla del febbraio 1783. Il mare risalì il vallone 
del torrente Livorno per alcune centinaia di metri e 
raggiunse altezze fino agli 8 metri (da: Graziani e al.,  2006).
questa massa detritica, un’enorme ondata si abbatte su Marina Grande, travolgendo i poveri scillesi, che lì rifugiatisi si ritenevano più al sicuro. Il mare, misto a fango e detriti, seppellisce ogni cosa, risalendo addirittura il vallone del torrente Livorno per diverse decine di metri. Alcune testimonianze parlano dell’acqua, giunta fino ai tetti delle case, che inonda anche Chianalea e la zona di Oliveto (fig. 3). A Scilla muoiono almeno 1500 persone, e i cadaveri, spesso irriconoscibili, vengono rapidamente bruciati per evitare il diffondersi di epidemie. Alcune vittime sono ritrovate sui terrazzi o sui tetti delle case, altre sugli alberi. Nei mesi successivi il mare restituirà corpi e detriti di ogni genere. Gli effetti del maremoto si avvertono per un raggio di almeno 30 chilometri lungo la costa tirrenica. A Cannitello le acque penetrano per circa un chilometro e mezzo all’interno del litorale, a Nicotera e Bagnara le spiagge sono completamente allagate, a Messina è inondato il mercato del pesce, a Capo Peloro il mare penetra per almeno 500 metri, e anche a Reggio parte del litorale viene invaso dalle acque. 
Il 7 Febbraio, alle ore 13.10, si verifica un altro terremoto, con magnitudo macrosismica simile all’evento precedente ed epicentro posizionato pochi chilometri a sud-ovest di Soriano Calabro, dove crolla l’imponente convento benedettino. Ingenti danni si registrano anche a Sorianello, Gerocarne, Pizzoni e S. Giorgio Morgeto. Il sisma colpisce soprattutto la zona delle Serre, radendo al suolo anche Acquaro (fig. 4). Si registrano movimenti anomali del livello marino, ma senza inondazioni, nella zona di Stilo. 
Figura 4: La diffusione delle intensità macrosismiche 
stimate nella scossa del 7 febbraio 1783. L'epicentro, 
nei pressi di Soriano, è contrassegnato da un 
asterisco bianco (da: www.emidius.mi.ingv.it). 
Ma la terribile sequenza sismica non si è ancora conclusa. Il 1 Marzo un evento sismico, stavolta localizzato ancora più a nord, nei pressi di Filadelfia, con magnitudo macrosismica pari a 5.7, produce danni in alcuni villaggi montani, come Poliolo, Mileto e Monteleone. Infine, il 28 Marzo, alle 18.55, un ultimo forte terremoto si verifica nel bacino di Catanzaro, nei pressi di Borgia, ancora più a nord dei precedenti. I danni maggiori si registrano a Borgia, Maida, Girifalco e Cortale, con centinaia di morti (fig. 5). Numerose frane e fenomeni di liquefazione del terreno sono testimoniati nell’area circostante il fiume Lamato. Effetti significativi si hanno anche nella variazione del livello marino, nel Golfo di Squillace e nel golfo di Sant’Eufemia, mentre a Bagnara viene inondato il litorale. 
Figura 5: La diffusione delle intensità macrosismiche 
stimate nella scossa del 28 marzo 1783. L'epicentro 
è contrassegnato da un asterisco bianco 
La sequenza sismica sarà caratterizzata dall’accadimento di centinaia di scosse minori (aftershocks), e da sismicità che proseguirà per oltre un anno. Non si conosce bene il numero totale delle vittime alla fine della crisi sismica, che sembra oscillare tra 30.000 e 50.000. Si calcola che il 7% della popolazione sia deceduta a seguito della lunga sequenza di terremoti. Migliaia sono le abitazioni distrutte, duecento i paesi devastati, con gran parte del patrimonio architettonico andato perduto. A Polistena e Cittanova (allora Casalnuovo) le vittime sono circa duemila; a Seminara 1400, a Terranova morirà circa il 70% della popolazione. Tra le cittadine più colpite il primato spetta a Palmi, ricostruita con nuovi criteri urbanistici, e Borrello che sarà invece abbandonata. Anche la topografia subisce trasformazioni importanti, si aprono fratture e voragini nel suolo, le frane modificano la morfologia di diversi versanti montuosi. Molti fiumi e torrenti deviano il loro corso a causa dell’apporto di grandi quantità di materiale terrigeno. Nelle zone pianeggianti, in particolare tra Sinopoli e Seminara, si originano nuovi laghi e paludi che incrementano il proliferarsi della malaria. I danni sono così ingenti che il governo borbonico decide l’esproprio di alcuni beni ecclesiastici a favore della ricostruzione che durerà molti anni.
Figura 6: Lo sviluppo della crisi sismica calabrese del 
1783 ottenuto seguendo gli studi di M. Baratta (1901). 
Le stelle nere rappresentano gli epicentri delle varie 
scosse, le linee nere racchiudono i limiti delle diverse 
zone con vari effetti distruttivi (da: Jacques e al., 2001).
Le sequenze sismiche come quella del 1783 sono di grande interesse per i sismologi e per chi lavora nel campo dell’ingegneria sismica (fig. 6): il meccanismo con cui si sviluppano pone attenzione sul problema del rischio, poiché ogni evento ricade su zone già danneggiate da quelli precedenti, con un incremento della vulnerabilità degli edifici. Anche i processi di innesco delle sequenze sismiche di elevata energia evidenziano la complessità del fenomeno, in aree come quella italiana, dove la crosta superficiale si caratterizza per l’elevata eterogeneità delle strutture tettoniche. L’accadimento di sequenze come quella della Calabria del 1783, imporrà anche valutazioni attente sulla possibilità di evacuazione e re-insediamento delle popolazioni esposte al rischio sismico, e non solo (Fig. 7).

Figura 7: Causa la morfologia e la batimetria dei fondali, la baia di Scilla è particolarmente soggetta agli effetti disastrosi dell'ingressione marina. La foto di copertina del libro "Tempeste a Scilla" può dare una minima idea di quanto accadde nel 1783. Forti mareggiate infatti invadono ancora oggi, ogni inverno, il viale a mare di Scilla, giungendo fino alle porte di molte abitazioni, creando danni limitati ma forti disagi alla popolazione. Scilla risulta tra le cittadine più vulnerabili del nostro paese ai disastri naturali (foto di: P. Arbitrio). 
Riferimenti bibliografici
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Petrucci G. (2011); Lo tsunami di Scilla: quel 6 febbraio 1783 di terrore e distruzione nel Reggino Tirrenico. MeteoWeb. Consultabile all'indirizzo internet: http://www.meteoweb.eu/2011/11/lo-tsunami-di-scilla-quel-6-febbraio-1783-di-terrore-e-distruzione-nel-reggino-tirrenico/98228/
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